Caro DeBabbo Natale,
quest'anno non sono stato un bravo DeBaseriano, ma ti scrivo comunque per chiederti come regalo di Natale leggermente fuori stagione un grande dono, di cui non sarei il solo a gioire: i Dark Tranquillity. O in alternativa una nuova sezione di DeBaser nomata DeStroncature.
Sì, perchè quelli di "We Are The Void" NON sono i Dark Tranquillity e questa NON è una recensione. Quelli di WATV devono essere dei cloni, delle specie di Dolly malriuscite, con la stessa genetica ma senza un briciolo d'anima. Io ho letteralmente adorato i DT e mi addolora dire che, per ragioni anagrafiche, non ne ho potuto seguire in tempo reale l'evoluzione. Dalla Galleria alla Novella, passando per Rifugi e Danni Fatti, un crescendo di emozioni, un viaggio senza soste sempre verso nuovi lidi, senza aver mai paura di sperimentare. Non so se sia proprio la paura di sperimentare ad aver prodotto quell'obbrobrioso aborto che è WATV, e mi riesce difficile anche pensare di dover sperare che lo sia, di fronte alla prospettiva di una raggiunta aridità creativa che abbia definitivamente impoverito quelli che una volta erano campi gravidi di fantasia ed inventiva. Non voglio credere a quest'ultima ipotesi, sia perchè stento a credere che un gruppo tanto coraggioso ed affiatato che ha letteralmente rivoluzionato un genere possa di punto in bianco divenire così sterile, sia perchè quest'ultimo passo, per quanto falsissimo, è pur sempre un episodio isolato nella loro carriera.
Questo WATV è un album scialbo, vuoto di idee e di passione, senza una traccia che si possa dire accettabile, meno che mai in stile Dark Tranquillity, dove le rarissime buone intuizioni sul piano musicale sono subito soppresse come cavalli zoppi nel '500. La prestazione squisitamente tecnica è al solito buona da parte di tutti. Tutti tranne Mikael Stanne. La sua prova vocale è veramente penosa se paragonata agli altri dischi, non c'è cattiveria, non c'è rabbia, non c'è grinta. Solo rauche urla vacue, e pallidi tentativi di cantato pulito che poco incastrano con le canzoni eseguite. Che sia un caso che l'improvvisa squallidità artistica del frontman sia coincisa con la caduta del gruppo? Sono agghiaccianti le analogie con gli "altri DT", di cui sembrano essere diventati solo una parodia più estrema. Un panorama desolante. Forse hanno sbagliato il titolo dell'album. Un "The" di troppo. Mai come adesso sono sembrati così vuoti.
Questa non è una recensione. Forse è esagerato anche chiamarla stroncatura. Più probabilmente è solo una pioggia di veleno, giustificata dal tradimento subito, una bocciatura non solo netta ma anche sentita, col cuore e con la mente. Forse, anzi sicuramente, se quest'album fosse stato prodotto da un altro gruppo adesso non starei scrivendo tutto ciò. Forse avrei anche potuto evitare di ascoltarlo decine di volte cercando, senza successo, di trovare, se non la giusta chiave di ascolto, almeno qualche lato positivo di questo album. Continuo a sperare di essere solo accecato dalla delusione e di non riuscire a vedere le parti quantomeno accettabili di questo album. Ma non ci riesco, quindi considererò questa solo come una macchia indelebile nell'immacolata storia di questo gruppo, piuttosto che come la fine di un grande amore. Almeno fino al prossimo disco...
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