Sebbene cronologicamente intermedio tra "A Blaze In The Northern Sky" e "Transilvanian Hunger", "Under A Funeral Moon" può, e forse a ragione, essere considerato fuori dalla mitica trilogia darkthroniana (i due album già citati ed il successivo "Panzerfaust"), poiché non aggiunge nulla di nuovo a quanto creato nei tre masterpieces da Nocturno Culto e Fenriz, in quanto ad atmosfera, violenza, equilibrio: se "A Blaze" aveva contribuito a definire, con le sue ambientazioni nere e glaciali, i canoni del proto-black, "Transilvanian Hunger" aveva voltato pagina inserendosi in un filone totalmente nichilista e minimale, e "Panzerfaust" aveva la sua firma negli impenetrabili muri di distorsione sonora che la chitarra granitica di Nocturno non dimenticava mai di innalzare, "Under A Funeral Moon" si limita ad inserire qualche appuntino nel genere, senza risultare irrinunciabile o particolarmente interessante.
Ma ciò non toglie che l'opera possa essere piacevole, e che ad un ascolto più attento, riveli spunti quantomeno interessanti se non proprio illuminanti: si parte con una delle più conosciute opere dei Darkthrone - mi riferisco al primo periodo, quello true-black -, "Natassja In Eternal Sleep", sorta di canzone dell'angoscia esistenziale, naturalmente riletta in chiave oscura e satanica; lo scream all'acido solforico di Nocturno Culto sovrasta un rancido riff che sembra quasi stridere, una batteria martellante ed un basso invisibile - c'è da dire che la scomparsa di Zephyrous non poté che essere un colpo micidiale per la band, venendo a mancare uno strumentista, se non indispensabile, sicuramente incisivo e fenomenale nella propria categoria. La voce davvero disumana sul finale spezza il giro chitarra-doppia cassa, che verrà ripreso, seppur con caratteristiche diverse, in diversi frangenti dell'album, creando una vera e propria esplosione di gelo, a cui non si sottrae la successiva "Summer Of The Diabolical Holocaust", in cui traspaiono, sebbene alcuanto vacuamente, a causa di una registrazione davvero lo-fi, i tipici riff da malessere gelido che avevano fatto la fortuna di "A Blaze", e la batteria che intraprende un andamento che sarà caratteristico di tutto l'album: un sostenere il ritmo, in alcuni frangenti, costituito solamente dal rimbalzare da un tamburo all'altro, in una sonorità sporca, minimalista, del tutto particolare. Il riff di intermezzo non è dei più coinvolgenti, ma una lama di ghiaccio percorre nuovamente il buio negli ultimi due minuti, contribuendo in misura decisiva alla definizione di questo quasi-capolavoro.
Più lenta e cadenzata invece "The Dance Of Eternal Shadows", concentrata sulle capacità vocalistiche di Nocturno Culto, che da a momenti l'impressione di urlare il proprio screaming, che risulta sembrare una sorta di gorgoglio scartavetrato su una frequenza troppo continua e su un timbro troppo gelidamente raschiato per essere uno screaming propriamente detto; buone le alternanza di velocità, che danno modo a Skjellum di esprimere al meglio rabbia, angoscia, violenza.
Altra canzone "esistenzialista" è "Unholy Black Metal", sulla falsariga delle prime due tracce; tre minuti e trenta di pura violenza, che però non riescono, causa anche l'eccessiva linearità del pezzo, a convincere quanto le openers. Certamente più incisiva "To Walk The Infernal Fields", dalla durata colossale - quasi otto minuti -, pezzo statico, ripetitivo, ipnotico, che a lungo andare riesce a comunicare quella sensazione di malefico intorpidimento, di un eccesso di adrenalina distruttrice che circola nel sangue; caratteristici i riff e le urla sporcati dal riverbero e dall'evidente auto-amplificazione che le onde sonore subiscono rimbalzando e sovrapponendosi con se stesse; buona chiusura anche dal punto di vista chitarristico.
Black Metal davvero allo stato più putrido e bestiale in "Under A Funeral Moon", suicidal-song in cui il marcissimo e tipico giro di chitarra e batteria sembra davvero materializzare la faccia caprina dalle corna arcuate e dalla barba irsuta... gelo senza confini e violenza esasperata, mentre si viaggia verso l'inferno attraverso un campo dagli alberi spogli sotto la luna del tardo ottobre e si viene calati nella fossa dopo aver bevuto sangue avvelenato ed aver assaporato l'acciaio aprire le vene, ascoltando un corvo che canta l'ultima canzone...
Fantastica "Inn I De Dype Skogers Favn" (Dentro l'abbraccio dei fitti boschi), dalla voce maggiormente tesa verso il growl e dalla chitarra funereamente immobile. I tempi dilatati costringono ad un viaggio fastidioso in un ambiente incolore e certamente non accogliente.
Chiude "Crossing The Triangle Of Flames", pezzo di buona fattura, rapido, oscuro, violento, in cui appare anche un basso atmosferizzante e crudele.
Da conoscere e da godere nella sua malvagità infinita.
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