I Darkwood di Henryk Vogel, al pari dei connazionali Forseti, Sonne Hagal ed Orplid, esemplificano perfettamente cosa si debba intendere con l'etichetta di neo-folk tedesco.
Cos'è il neo-folk tedesco? Il neo-folk tedesco, in tre parole, è una declinazione del folk apocalittico emersa agli albori del nuovo millennio e si distanzia da quello anglosassone per l'utilizzo in prevalenza della lingua tedesca, l'adozione di una formula stilistica che pesca a piene mani dalla tradizione popolare europea e la trattazione di temi quale natura, paganesimo e mitologie/credenze del centro-nord Europa.
In verità al centro delle riflessioni di Vogel hanno sempre primeggiato la storia e l'amore per la madre patria (l'imprescindibile componente della mitologia germanica si riversa piuttosto sull'aspetto più prettamente musicale, a livello di umori ed atmosfere), aspetto che rende peculiare, almeno da un punto di vista lirico, la proposta dell'entità Darkwood: nata sul finire dello scorso secolo sotto l'ala protettiva della storica label inglese World Serpent (quella dei vari Death in June e Current 93, tanto per intenderci, grazie alla quale partecipa alla storica compilation “Looking for Europe”), la creatura di Vogel può contare oggi su una nutrita discografia, anche grazie al supporto costante della Heidenvolk, l'etichetta personale dello stesso Vogel (etichetta che nasce per curare quasi esclusivamente la produzione dei suoi lavori, salvo sporadiche eccezioni, come il bel “A Ghost to Be Forgotten” degli americani In Ruin, prodotti per ragioni di amicizia ed evidenti affinità stilistiche ed ideologiche).
Con “Notwendfeuer”, dato alle stampe nel 2007, Vogel ci consegna quello che ad oggi possiamo ritenere il lavoro della sua maturità, per lo meno da un punto di vista formale, dato che in esso riesce a coronare definitivamente l'intento, da lungo coltivato, di sostituire definitivamente con fonti naturali ciò che era stato prodotto in passato con i mezzi dell'elettronica. Sintetizzatori e campionamenti azzerati, quindi, per un folk che rinuncia definitivamente ad ogni contaminazione industriale e finalmente può spiegare le sue ali grazie ad un ensemble di tutto rispetto (violino, violoncello, tromba, fisarmonica e persino una voce femminile) e percorrere con coerenza anche stilistica sentieri che volgono verso un passato irrecuperabile.
Henryk Vogel, del resto, nato in un piccolo villaggio dell'ex Germania dell'Est, cresce contornato dai fantasmi del passato e i simboli della Seconda Guerra Mondiale, milita nell'NVA (l'Esercito Popolare Tedesco), assiste poi al crollo del muro ed all'avvento del capitalismo, vive oggi in una città come Dresda in cui la storia recente ha lasciato profondi solchi, e nei luoghi e nelle persone; artisticamente nasce come autodidatta, menestrello per sé e per pochi intimi, durante gli anni del regime che non permetteva produzioni discografiche indipendenti: la sua lettura della Storia, per lui che si ispira al Wandervogel (movimento nazionalista, patriottico ed antitetico ad una concezione borghese della società, nato agli inizi del novecento), diviene quindi una sofferta constatazione di quanto sia stato perduto attraverso i processi della storia del secolo scorso, ponendo l'accento sulla necessità vitale di coagulare un nuovo progetto attorno a valori spirituali che trascendano il materialismo oggi imperante e riscoprano il senso di una vita comunitaria che scaturisce dall'amore, il rispetto della propria terra e l'identificazione nella stessa. Tutti temi che Vogel affronta in modo lucido, appassionato, forte di una solida preparazione culturale che gli impedisce di scadere nel banale.
Il concept tematico di questo “Notwendfeuer” (come già intuibile dalla bellissima copertina) si impernia sulla gioventù e su quell'energia, quella passione, quel “Fuoco” che può e deve essere veicolato, fra i peso del passato e le speranze nel futuro, nella direzione di uno sperato cambiamento verso il meglio: stando a quanto riferito dall'autore stesso, nel presente album “viene affrontato con amore e speranza il ruolo della gioventù connessa a cambiamenti operabili nel mondo e come visione di un modo alternativo di vivere”.
La musica che ne scaturisce, a scapito di una forma asciutta ed essenziale che vede prevalere il binomio voce/chitarra acustica, ha un che di magnetico ed indefinibile che la rende affascinante in ogni suo frangente. Meno visionaria e composita di quella di molti colleghi conterranei, la proposta di Darkwood si articola in ballate spesso brevi e spogliate del formato canzone, che ovviamente richiamano alla mente un nome imprescindibile per la scena come Ian read (i suoi Fire + Ice, ed in particolare un lavoro come “Birdking”, ne costituiscono senz'altro la pietra di paragone più evidente, prim'ancora dei soliti Dearh in June e Sol Invictus, che costituiscono pur sempre il background fondamentale per ogni musicista dedito a queste sonorità). Il brano di apertura “Wintermarchen” ne esemplifica le coordinate: una partenza dimessa a base di malinconici arpeggi e canto appena accennato, che impercettibilmente cede il passo ad accordi più corposi che sul finale si fondono all'ispirato incalzare degli archi, generando un crescendo che sa emozionare nonostante il rigore e la sobrietà intrinseca alla poetica di Vogel.
“Notwendfeuer”, nel complesso, è un unico flusso emozionale, essenzialmente privo di cali di tensione, che si evolve costantemente senza grandi strappi, fatta eccezione per il passo marziale delle percussioni in “Verlorenes Heer” e le distorsioni (di basso?) dell'accoppiata “Roggenfelder”/“Ostenfeld”, doppietta posta quasi al termine del viaggio, prima dell'intima chiusura lasciata a brani come “Westensturme” e “Winterrune”.
Darkwood può costituire pertanto un ascolto interessante per tutti coloro che intendono approfondire questo specifico filone del più ampio mondo del folk apocalittico, e di certo “Notwendfeuer” è una tappa obbligatoria per chi ha apprezzato i lavori di Forseti, Sonne Hagal e primi Orplid.
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