Il nulla. Il vuoto cosmico. Anzi, una siringa piena d'aria iniettata in vena e conseguente embolo, tanto per restare aderenti all'iconografia della pellicola in questione. Cavamose ‘sto dente: "Requiem for a dream" è uno dei film più sopravvalutati della storia recente. Un cult per drogati, ex-tossici riabilitati o adolescenti inquieti di ogni età. Il tema è la dipendenza, da ogni tipo di droga. E la sapete l'ultima? Anche la TV può dare dipendenza: è una droga il desiderio di apparire a tutti i costi, l'ostinata ricerca di quei proverbiali cinque minuti di notorietà. Pillole di conoscenza by Darren Aronofsky, che con molti grandi filosofi ha in comune giusto un cognome quasi impronunciabile.
Diamo un'occhiata al resto della sua filmografia. Pi Greco: schizofrenico ma interessante. The Fountain: un obbrobrio disumano, l'apice del trash new-age. Infine il Leone d'oro The Wrestler: non male, anche se poco più di un veicolo attoriale per l'insperato ritorno in forma di Mickey Rourke. La mia opinione è che il suo unico vero capolavoro, fin'ora, sia l'essersi accasato con quel gran pezzo di figliola che è Rachel Weisz.
"Requiem for a dream" annaspa fra un montaggio convulso da videoclip e l'uso eccessivo di lenti deformanti, senza dimenticare l'insistito ricorso alla SnorriCam: tutti espedienti retorici oltremodo pedestri atti a riprodurre lo stato di percezione alterata dei personaggi. Qualche passaggio registico azzeccato (in particolare nella prima parte, meno iperattiva) non basta a giustificare l'abuso di questi artifici: visionarietà dovrebbe significare una più stretta sinergia fra ogni elemento della messa in scena (e, a monte, dell'intreccio) non solo l'impiego di "trucchi" per soggettivare banalmente e con superficialità l'immagine. Abbastanza per definire Aronofsky un regista visionario? Parrebbe di sì.
Preso così, il film sarebbe un innocuo esercizio di stile, un trip visivo senza pretese e con qualche sprazzo di suggestione. Ma quando un prodotto del genere viene additato da molti come capolavoro, una fucina di concetti e significati trascendentali... beh, allora è un altro discorso.
Bravi gli attori. Jared Leto e Marlon Wayans sembrano nati per i rispettivi ruoli, vista l'aria da tossici impenitenti che si portano appresso in ogni film. Jennifer Connelly si offre generosamente all'obiettivo in più di un'occasione e il pubblico maschile non può che ringraziare. Ellen Burstyn, candidata all'Oscar per questa interpretazione, fa quel che può con lo scarso materiale a disposizione.
La disperazione programmatica del finale ha il sapore di un teorema che abbiamo già imparato a memoria su formulari molto più degni.
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