"Requiem For A Dream", il funerale di un sogno, quello americano, mai così portato alle sue più amare dure e violente conclusioni.
Il film, il secondo del talentuoso regista Darren Aronofsky, vede intrecciarsi le vite di quattro personaggi, ognuno "addicted", dipendente da qualcosa. L'anziana vedova Sara Goldfarb (E. Burstyn), maniaca teledipendente di uno show fasullo come ce ne sono tanti, un giorno viene contattata proprio dal manager di questo spettacolo, che le offre la possibilità di partecipare come pubblico in sala. La donna, al settimo cielo per la notizia, decide di costringersi ad una dieta ferrea pur di riuscire ad indossare nuovamente quel vestito rosso che tanto le donava in gioventù. Rivolgendosi ad uno spietato dietologo, la donna finirà però con l'impazzire, preda delle sue stesse allucinazioni e incubi dovuti a delle anfetamine prescrittele per farle passare l'appetito. Il suo sogno, il suo show, si trasformerà in un macabro incubo da ospedale psichiatrico.
Harry Goldfarb (J. Letho), figlio di Sara, vive, assieme alla sua ragazza Maryon (J. Connelly) e all'amico Tyrone (D. Keith), una vita da reietto e sbandato, sempre alla ricerca di eroina per rendersi meno amara la realtà di tutti i giorni. Un giorno, per puro caso, mettono le mani su una dose più grossa del previsto, ottenendo agganci che gli permettono di diventare ricchi e di costruirsi un proprio piccolo impero. Grazie ai soldi (e alla droga consumata in maniera massiccia) le loro condizioni sembrano migliorare, e anche Maryon sembra poter riuscire ad aprire l'atélier di abbigliamento che tanto sognava. Giunge la disgregazione però anche per questo sogno. La droga finisce, gli amici litigano, l'amore è messo in crisi dalla dipendenza (dai soldi e dall'eroina), e le peripezie per ottenere una nuova dose porteranno ad un finale terribile e irreversibile, shockante tale è la sua violenza.
L'opera è una vera e propria martellata all'universo di vetro del sogno americano: ne mette in luce tutte le contraddizioni, le crepe invisibili e fa capire come sia labile il confine tra successo e annientamento. Superbo il montaggio, che vede molte scene montate con schermo diviso (un brutale confronto delle dipendenze dei personaggi) e in generale uno schema quasi a videoclip, soprattutto nel finale, dove venti minuti convulsi sono condensati con pochissime parole ma solo musica, suoni e frames alternati.
Lontano da "Trainspotting", con il quale forse condivide solo la tematica della droga, il film scandaglia ancora più a fondo l'animo umano, rivelando cosa tutti, in fondo, saremmo capaci di fare per ottenere anche solo un brandello del sogno più ardente che da sempre ci prefiggiamo di raggiungere. Imperdibile.
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