CON SPOILER

"Ho dato al mio dolore la forma di parole abusate che mi prometto di non pronunciare mai più."

Tra i molti aggettivi con cui è stato descritto The Whale, uno che mi ha particolarmente colpito e che, dopo la visione, trovo molto azzeccato è sconquassante. Un aggettivo che non si usa spesso e che ben si addice a un film che, in effetti, merita una definizione speciale, in quanto altrettanto speciali sono le sensazioni che provoca. Sensazioni che sono paragonabili a un turbine di dolore di rarissima intensità, come d'altronde è nell'essenza della poetica di Aronofksy. E qui serve la premessa, che porta alle successive e più complesse riflessioni su questo film e sul regista americano in generale.

"O lo ami o lo odi" è una di quelle tipiche banalità che non significano nulla. Nel caso di Aronofsky, invece, questo modo di dire funziona bene, in quanto Aronofsky è un autore tra i più polarizzanti dell'ultimo ventennio e oltre, e questo perché il regista di opere già estremamente controverse e discutibili come Requiem for a dream e Black Swan ricerca da sempre un tipo di emozione potente, che molto spesso travalica il delicatissimo e invisibile confine tra dramma e colpo basso. Tra commozione autentica e repulsione e patetismo, tra ciò che è consentito o che sarebbe meglio lasciare fuori dall'inquadratura. Tra la sincerità brutale - evocata dallo stesso protagonista, che in questo diventa evidentemente il tramite/alter-ego di Aronofsky - e ciò che sfocia nel ricatto e nella esplicita pornografia del dolore.

Se questo, da un lato, denota grande coerenza, coraggio e senso del tragico, da un altro rischia di sembrare una facile scorciatoia per arrivare allo stomaco dello spettatore, più che al cuore; portandolo anche ad una più difficile analisi critica e lucida di quanto visto, proprio perché toccato nel vivo ed emotivamente sconvolto. A differenza invece di film che toccano certe corde in modo più fine e meno immediato. Ma anche nel suscitare emozioni in modo forte e diretto ci vuole comunque talento e bravura, che ad Aronosky non mancano di questo. Anzi, in questo è certamente un Maestro.
E infine, come accennato, l'analisi delle sue opere implica diverse riflessioni profonde e necessarie sul senso del suo cinema, e appunto su quanto e cosa sia rappresentabile o meno.

Non è l'unico Aronofsky, ovviamente. Anche altri grandissimi autori del cinema contemporaneo hanno spinto spesso oltre questo ipotetico e teorico limite: von Trier, Inarritu, Wenders. Per non parlare di un film come Fuocoammare di Rosi. Il dibattito resta aperto: dove finisce il realismo e inizia il compiacimento? Cosa è giusto mostrare?

Lord kill the pain, don't want to ask you again
Lord let it rain, don't want to ask you again


The Whale è disturbante per molti motivi. Primo tra tutti perché, fondamentalmente, mette in scena un suicidio lungo due ore, con un lento avvicinamento ad un finale messo in chiaro da subito e difficilmente fraintendibile: la scansione temporale rende esplicitamente l'idea del conto alla rovescia e ci dice che vivremo l'ultima settimana di vita del protagonista. Non si tratta di un thriller, di conseguenza non è questo che importa. A importare è invece come si arriverà al momento inevitabile e annunciato: e qui inizia la discesa negli abissi del dolore. Nello strazio del vedere un uomo profondamente buono d'animo cercare di riconciliarsi con la figlia e dare un ultimo, disperato senso alla sua vita. Riflettendo ovviamente sui motivi che l'hanno portato a questa autodistruzione fisica e al successivo auto-isolamento dal mondo.

Il film quindi parla di depressione, suicidio, religione, amore. Tanta la carne al fuoco che Aronofky è senza dubbio bravo a trattare senza, per fortuna (nonché un po' di pietà) cedere a sua volta alla dilatazione della durata, moda attuale che porta ogni film a durare dai 150' minuti in su.

The Whale, all'interno della filmografia di Aronofsky, è parente stretto di quello che resta il suo capolavoro: The Wrestler. In entrambi i film il fulcro è l'autodistruzione, il rapporto da recuperare con una figlia non semplice (il film Leone d'oro 2008 mostrò il grande talento di una meravigliosa Evan Rachel Wood, The Whale, oggi, quello di Sadie Sink, tra le protagoniste di Stranger Things), e sopratutto lo sguardo su un protagonista centrale, alle prese con tutti i suoi drammi e demoni. In entrambi i film Aronofsky non sceglie dei normali attori di nome. Non chiama DiCaprio o Phoenix o Casey Affleck, per dire (riferimento non casuale visto un altro film potentissimo come Manchester by the sea). Chiama, bensì, due figure outsider, due reietti di Holywood come Mickey Rourke e Brandan Fraser e gli fa interpretare sé stessi. In modo estremizzato, ovviamente. Ma quello resta il succo, la motivazione della scelta. E si ritorna alla questione essenziale: fin dove è lecito spingersi?

C'è da dire che Aronofsky con mother! aveva sperimentato una strada diversa, con un'opera estremamente ambiziosa e personale, affascinante, allegorica, criptica. Che difatti è stata poco recepita. Ora è come se tornasse alla sua comfort zone della tragedia umana "pura". Cruda, lineare, semplice come storia ma difficilissima da metabolizzare.

Se si è particolarmente sensibili, infatti, un'opera come The Whale può segnare in profondità e lasciare tramortiti. Occorre avvicinarcisi con cautela, e anche in quel caso può essere dura assorbire il colpo.

La natura teatrale del soggetto emerge benissimo dallo stile claustrofobico tipico di Aronofsky e la scelta del formato 1:33 è perfettamente funzionale alla costruzione di una storia intima, alla messa in scena di un piccolo mondo prossimo alla fine. Riportando alla mente le tematiche apocalittiche del precedente già citato mother!.

Molti sono i momenti di commozione e il finale è, in questo senso e non solo, assolutamente insostenibile.

Aronofsky si ama o si odia, come dicevo all'inizio, ma si può sia amare che odiare, addirittura all'interno dello stesso film. The Whale credo sia la più estrema tra le esperienze filmiche recenti e senza dubbio la più estrema nella sua filmografia.

Di enorme rilevanza e impatto il parallelismo tra il protagonista e il capitano Achab di Moby Dick: come la consapevolezza che nulla possa dare senso alla sofferenza. Nulla se non la manifestazione dell'amore: quel che può portare all'ascesi. L'unica cosa.

"Hai mai la sensazione che le persone siano incapaci di non amare? Le persone sono meravigliose".

In questo c'è forse la più bella e commovente dichiarazione d'amore nei confronti dell'umanità vista in un film da moltissimo tempo a questa parte.

The Whale ha in sé tutti i pregi e i problemi del cinema aronofskyano, ma di certo è un'esperienza impossibile da dimenticare.

Cos'è, quindi, il cinema di Aronofky? è carne viva, dolente. Che ha ancora molto da dare, pur restando controverso e criticabile, detestabile, sgradevole ma sempre, in ogni caso, dilaniante. Immensamente struggente.

Impossibile anche solo pensare di dare un voto a questa esperienza.

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