Storia un po' stereotipata di un campione al tramonto che si ribella alla inesorabile azione del tempo riscattandosi in un'ultima grande performance, "The Wrestler" assume comunque il ruolo di film interessante per vari aspetti, in primis per l'ottima prova di un Mikey Rourke che dimostra, anzi conferma, di avere la stoffa dell'attore di culto.
Una finestra nel mondo wrestling, sport-spettacolo molto seguito negli Stati Uniti, in cui si narra la storia di un campione molto amato dal pubblico ma giunto a fine carriera per limiti d'età.
Randy "The Ram", questo il suo nome d'arte, sbarca ormai il lunario con spettacoli di serie B, dove comunque trova l'affetto del suo pubblico e l'ammirazione dei "guerrieri" più giovani. Quella è tutta la sua vita, dopo avere trascurato matrimonio e figlia per inseguire gloria sui ring degli States. Ma ora alla sua età si ritrova a fare i conti con sé stesso, a chiedersi cosa ha fatto di buono nella vita. Una vita spericolata e sregolata, fatta di esagerazioni e sevizie per dare spettacolo; di ormoni e anfetamine per mantenersi un fisico prorompente, sostanze di cui non può più fare a meno e che certo non fanno bene alla salute.
Un malore, il cuore che non funziona più bene, un by-pass e quello stile di vita non fa più per lui: deve smettere di combattere.
Ritorna allora dalla figlia, cerca di instaurare un rapporto che non c'è mai stato; all'inizio ci riesce, fa breccia nei sentimenti di lei, riesce a recuperare affetto che può trasformarsi in amore, quel qualcosa che può riabilitarlo nei panni di padre. Ma lui è fatto così e non può più cambiare, e allora perde anche quell'occasione, facendosi cacciare via. Frequenta anche un night club, prova ad instaurare un rapporto più profondo con una ballerina-intrattenitice che fino ad allora era sua amica/cliente, ma anche per quello è troppo tardi. E allora ricomincia ad allenarsi, ritorna sul ring malgrado i divieti dei medici per una sfida col "nemico" più famoso e lì lascia questo mondo, tra gli incitamenti dei suoi ammiratori. Perchè quello è stato il suo mondo, è lì che ha contato qualcosa.
Storie di gente sbandate, scorci di vite di periferia americana. Storia di un rapporto padre-figlia non riuscito. Panorama del mondo di spettacolo Wrestling con i suoi retroscena. Il film racconta questo e Aronofsky lo racconta bene, salvo scivolare sull'ultimo discorso moralista, da tipico finale americano, che The Ram pronuncia sul ring all'inizio del suo ultimo combattimento, quello che gli costerà la vita.
Grande uso di ripresa "a spalla" con qualche oscillazione di troppo, spesso usata per riprendere da dietro il protagonista in una tecnica forse innovativa ma che infastidisce un po' e quindi tutto sommato non riuscita. Sapiente uso della musica con una colonna sonora non originale formata da successi degli anni '80, ben modulata nel contrasto tra assenza e presenza ad alti volumi, senza mezzi termini. La sigla di coda è un gioiellino di Bruce Springsteen.
Mikey Rourke si cala bene nei panni del protagonista, in una prova che ha contribuito molto a far vincere il Leone d'oro per il miglior film e un Golden Globe suo personale. Un personaggio che ben si adatta al look della sua seconda era artistica. Molto bravo anche il resto del cast con particolare cenno a Marisa Tomei che interpreta l'amica spogliarellista.
Da segnalare la scena in cui The Ram, adattatosi ad un lavoro di inserviente in un market, il primo giorno di lavoro con grembiule e cuffia, nell'oltrepassare la porta che lo conduce al reparto alimentare a distribuire salumi e formaggi si immagina l'entrata sul ring rivivendo le urla dei suoi fans; li sente dentro di sè, ma appena apre quella porta di plastica trasparente si ritrova di colpo nel silenzio avvilente del market.
Un film che, nonostante un sapore di storia già vista sotto altre spoglie, tutto sommato consiglio di vedere.
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