Gli anni Novanta. Anni bui, in cui il regno delle tenebre era più potente che mai.
Perché? E io che ne so. Preferisco lasciare le disquisizioni sociologiche ai sociologi. Forse per via della comune percezione che il mondo sarebbe finito di lì a poco, complici sinistri presagi quali Chernobyl, la caduta del Muro, Tangentopoli, il Millenium Bug... soprattutto quest'ultimo, catalizzatore di dubbi e paranoie come non mai un evento.
Chiunque sapeva cosa c'era stato prima, che era limpido: la guerra, gli anni Cinquanta e il ritorno alla normalità, gli anni Sessanta e il boom economico, gli anni Settanta con tutto quello che si portavano dietro, il mito, una sorta di nuova Età dell'Oro, i luccicosi e plasticosi anni Ottanta con l'alone di decadenza che mi piace vedere riassunto nei movimenti New Wave e New Romantic, e infine i Novanta, quando il verbo era quel "la vita fa schifo" che Cobain seppe riassumere meglio in un solo gesto che in svariati dischi; ma nessuno poteva sapere cosa sarebbe venuto di lì a poco, e sarebbe stato lecito aspettarsi uno stravolgimento, a cominciare dalle quattro cifre, 2000 e non più mille, "Mille e non più mille" per scomodare Nostradamus. Poi il diluvio universale non ci fu, lasciandoci nel vuoto totale di questi anni, che per quanto mi sforzi non riesco a definire. Vuoto e caos insieme, sono le uniche cose che mi vengono in mente.
Tralasciando questi che sono i miei pensieri prima di addormentarmi, resta un fatto: gli anni Novanta e l'oscurità. Per quanto io sia veramente un disgraziato e il tempo che dovrei passare sui libri o avendo una vita sociale lo passo pensando compulsivamente, è innegabile che un nesso ci sia. Il grunge, Twin Peaks, X-Files, Millenium, la svolta intimista di Nick Cave, non credo si tratti di una grossa coincidenza. L'oscurità, secondo me, regnava sovrana. Talmente sovrana da farsi sentire anche laddove non mai.
In effetti "Melrose Place" non era altro che questo, una serie di puro intrattenimento, senza pretese visionarie alcune, solo con un target di pubblico più adulto di quello che aveva e/o aveva avuto il fratello maggiore "Beverly Hills". Come suggeriva perfino la fascia oraria: all'inizio venne trasmesso in seconda serata.
Sostanzialmente quindi un programma per adulti, un concept generico quando non banale. Tutto ruotava attorno a un pugno di giovani più o meno giovani e più o meno di belle speranze, residenti, appunto, a "Melrose Place", Los Angeles, tra i quali vale la pena di ricordare Thomas Calabro, il Dott. Michael Mancini, l'unico personaggio e interprete a rimanere per l'intera durata della serie, una Marcia Cross di Desperate Housewivesiana memoria, nei panni della schizofrenica Kimberly (forse uno dei punti più alti raggiunti dalla serie), una Courtney Thorne-Smith di According To Jimiana memoria, nei panni di Alison, un Jack Wagner di Beautifuliana memoria nei panni del Dott. Peter Burns, una Heather Locklear nei panni di una spietata quanto bella Amanda.
Oggetto della questione altro non era se non le vicissitudini più o meno drammatiche coinvolgenti i medesimi.
Fin qui niente per cui strapparsi i capelli, ma ecco che si rivela lo scopo della premessa: l'oscurità. Ce ne fosse stato uno, di questi qua, che non avesse un lato oscuro, una doppia personalità, un'ambiguità di fondo; uno che per quanto solare, allegro e spensierato non covasse vendetta, non odiasse, non disprezzasse, non invidiasse. E così la trama era sostanzialmente un susseguirsi di doppi giochi, tiri mancini, rappresaglie, compiute da personaggi più o meno folli ai danni di personaggi più o meno malvagi. Gente tirata sotto con la macchina, rapimenti, estorsioni, omicidi, case che saltano per aria, ricoveri in manicomio, corna come se piovesse: tutto questo era all'ordine del giorno.
E una componente "disturbata" davvero tipica degli anni. Due sequenze esemplari a caso: la biondina Jane che, aiutata dalla sorella, uccide a badilate il fidanzato e lo sotterra, per poi allontanarsi e lasciare posto al "cliffhanger" sulla scena della mano di lui che sbuca a sorpresa dal suolo; e, soprattutto, la delirante Kimberly che, guardandosi allo specchio, si leva la parrucca rivelando un'orribile cicatrice. Il velo che cade, la maschera, il tema del doppio, il bene contro il male, la luce e l'ombra. L'oscurità, appunto.
Sfortunatamente gli anni Novanta finirono e lasciarono cose come Melrose Place ad essere ricordate solo da pochi mentecatti che passano il tempo tra dubbi esistenziali da quattro soldi e inutili considerazioni sul passato come il sottoscritto. Nostalgia di un tempo che per quanto oscuro, per quanto deprimente, per quanto forse piacesse e piaccia solo a me, perlomeno era un tempo e non era il niente e qualcosa ha significato.
Genere: Drammatico
Carico i commenti... con calma