Uno lo riconosci perché ha dei capelli davvero improbabili, l'altro perché sembra appena uscito da un campo di concentramento: sono il tastierista Bruno Kramm (noto anche in ambienti metal per aver collaborato con Morbid Angel ed Atrocity) e il cantante Stefan Ackermann, un pazzo furioso come pochi. Insieme sono i Das Ich, e "Die Propheten" è il loro primo full-lenght, un album enorme, un'opera che meriterebbe veramente più attenzione di quanto nella realtà dei fatti accada.

Dediti ad una sorta di electro-goth davvero orripilante, la musica di questi due loschi figuri è in realtà una esperienza fuori dai generi, ed è solo un caso che siano finiti nel calderone dell'EBM. Di fatto questo scarno industrial dalle truculente atmosfere horror sembra piuttosto prendere spunto dalle imprese di vecchie glorie teutoniche come Kraftwerk ed Einsturzende Neubauten, senza dimenticare le lezioni di paranoia impartite dai fondamentali Virgin Prunes. Dirò di più: l'impressione è che i componenti di queste formazioni siano stati trucidati malamente e che i loro cadaveri si siano messi a jammare in occasione di un rave-party dell'oltretomba!

"Es ist ja Krieg… ", cupi colpi di tamburo, dei campanellini ed il sipario si apre: un mondo fantastico e terribile si materializza davanti ai nostri increduli occhi. I suoni plasticoni (è il 91, ma sembra di essere nell'85!) e l'andamento claudicante delle orchestrazioni rende tutto più squallido e freddo. Un flauto di silicone, un piano raggelante, e poi una vociaccia sgraziata e teatrale, che ricorda proprio quella del Blixa Bargeld dei primi tempi (complice anche il cantato sputacchiato in tedesco). Un urlo lancinante, veramente bruto, e poi una catastrofe di suoni che si rovescia sulle nostre orecchie impreparate. Il pensiero è più che altro: ma che diavolo sto ascoltando?
"Kain und Abel": un ritmaccio danzereccio ci squote nelle viscere, e il "balla balla balla balla balla balla con il morto" è l'irresistibile ritornello che animerà i nostri sabati sera più impegnati. La cosa che stupisce maggiormente è come sia potuto succedere che un potenziale hittone di sinth-pop si sia tramutato per magilla in un oscuro e malato cerimoniale.

"Die Propheten" ci fa capire che non ci troviamo innanzi a semplice elettronica, l'approccio è barocco (e squisitamente pacchiano, questo sia chiaro fin dall'inizio) e, non vorrei dire enormità, a tratti pare rasentantare quel tardo progressive che è poi divenuto sinonimo di colonna sonora di film horror. Bruno Kramm non è un tipo da starsene in panciolle dietro ad un pc a pigiare pulsanti, Kramm è uno che si fa il culo in quattro per allestire un'intera orchestra sintetica, le cui evoluzioni ricordano però il balletto scoordinato di una folle marionetta.
"Des Satans neue Kleider" è un lento rituale che permette all'ugola malata di Ackermann di spaziare in lungo ed in largo, assumendo talvolta le sembianze di una vecchietta bavosa, di un folletto dispettoso, di un demonio dell'inferno. E' sempre più chiaro che qui i due giocano ruoli complementari, e dove Kramm prende le veci del genio, la parte della sregolatezza va di diritto ad Ackermann: paranoico, teatrale, sempre e comunque sopra le righe, è il vero mattatore della serata, l'insospettabile valore aggiunto dei Das Ich.

"Gottes Tod" è una "Trans-Europe Express" della morte, otto minuti di secca drum-machine ed elettronica minimale, un treno inarrestabile che scende negli abissi di una dimensione irreale ed onirica, dove gli elementi della quotidianità diventano qualcosa di mostruoso, dove la reiterazione macina paranoia, dove la stessa frase, con le variazioni del caso, ripetuta alla sfinimento finisce per scandire, in un crescendo di tensione, un oscuro ed inquietante rituale.
"Der Hass" parte come può partire una qualsiasi canzone di Michael Jackson, ma le ambientazioni gotiche e le voci sdoppiate palesano la vocazione dei Das Ich nel voler a tutti i costi ammantare di un'insana morbosità la dance più confortante.

"Lügen und das Ich", una traccia violenta e dalle sfumature post-punk, è il vertice del delirio di Ackermann: il suo canto invasato e paranoico è qualcosa che va veramente oltre e, fra grida anarchiche, filastrocche infantili e nenie esoteriche, la corsa alla manopola del volume è d'obbligo per tutti noi. Il ritmazzo spietato dell'amico Kramm fa il resto, ricordandoci peraltro da dove nasca gente come gli Hocico.
"Frevel" è il raggelante pianoforte con cui si chiude il sipario e pone fine alla folle messa in scena. Mentre ci avviamo all'uscita, sussuri e fosche atmosfere gotiche ci accompagnano, ancora turbati dalle visioni e dai suoni che echeggiano e rimbalzano nella nostra mente.

Bene, eccoci giunti anche questa volta al pensierino della sera: dunque, fra vampirazzi e satanassi, par di essere proprio alla sagra dei mortacci. Ma la domanda é: questa pagliacciata è in grado di travalicare gli ambiti ristretti del target adolescenziale che evidentemente si prefissa? Ma certo che sì. Anzitutto, da un punto di vista prettamente musicale, i contenuti ci sono tutti: insomma, Kramm ci sa fare, è vero che a volte sembra perdere la bussola, finendo per impelagarsi non si sa bene dove, ma le soluzioni vincenti ed i giri azzeccati si sprecano, e in questo caso, l'irrazionalità compositiva va confluire nel fascino malsano che l'opera ispira nel suo complesso. Poi, da un punto di vista metamusicale, al di là dei vampirazzi e dei satanassi, i Das Ich rappresentano un malessere, un disagio psico-sociale, una paranoia ed una schizofrenia che li erge a cantori della nevrosi dell'uomo contemporaneo, né più né meno (e si prenda con le molle questa affermazione) di maestri in materia come Cale, Gira, Cobain, Cave e molti altri. Ma soprattutto, a noialtri indagatori dell'incubo (o meglio, del dormiveglia), che non temiamo satanassi e vampirazzi, ma anzi ci attizzano da morire, questa musica piace perché ci fa muovere il culo, perché ce la spariamo in macchina a tutto fuoco il venerdì sera, perché ci proietta nelle illusioni del week-end e ci fa sbazzare dimentichi dei mali che infettano la nostra esistenza infrasettimanale.

Se vi pare poco…

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