I Daughters si rifanno inaspettatamente vivi dopo otto anni di assenza dalle scene, probabilmente sull’onda di un'urgenza espressiva dettata dai tempi cupi che corrono.
Tempi tratteggiati attraverso pulsazioni tribali ossessive, suoni che scandiscono promesse di un futuro ostile.
Clangori elettronici industriali, provenienti da un mondo alieno ed alienante, il nostro ... adesso.
Quello che vediamo disgregarsi quotidianamente, impietosamente biascicato nelle strofe di Alexis Marshall, ibrido bastardo tra Michael Gira e Sleaford Mods.
“You Won't Get What You Want” è una passeggiata a piedi nudi su un tappeto di specchi frantumati, e lo spettacolo riflesso non è edificante.
E’ l’inesorabile devastazione morale della quale noi siamo bradisismici artefici, frammenti di incubi quotidiani, frantumi del sogno americano, città svuotate di ogni umanità la cui matrice relazionale è oramai all’insegna di una reciproca avversione.
Da un oceano di freddi ritmi amelodici e meccanici (“Flammable Man”, “The Reason They Hate Me”), emergono di tanto in tanto flebili mulinelli lirici (“Satan In The Wait”, “Daughter”) capaci di rendere la discesa nel baratro ancor più vertiginosa.
Non vi farà sentire bene, e questo (sì) che è un bene.
Che suono ha la disperazione?
Questo.
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