Ci sono senz'altro cose peggiori di un libro di memorie.
Non è che abbia tutta questa voglia di cominciare con preamboli un po' mmm mmm, del tipo: Dave Eggers è assai difficile da recensire perché blàh e blàh. (Oppure tipo quello che avete appena letto, che è già un po' mmm mmm ma in modo diverso e disonestamente mascherato da qualcos'altro.)
Cioè. Non è che di per sé sia così difficile recensirlo, in effetti, e comunque non perché blàh e blàh. E' solo che non sai come azzardare una parola senza fare per più versi la figura del pirla. Perché è un libro che parla da solo di sé stesso, e non in quel modo, non con l'aura di compatta santità del Sacerrimo Mattone che alla fine può anche non dire un cazzo. No, parla di sé letteralmente. A cominciare dalla prefazione, che mi fece favolosamente schiantare dalle risa in un mattino stranito e senza sonno, tra un sanitario freddo e una sciacquata di faccia, dopo che - giorni prima - l'avevo preso orfano da uno scaffale in libreria, incontrastabilmente attirato dalla citazione di copertina. Lo ammetto, ci sono cascato, con la citazione di copertina, e non so se il fatto che il commento positivo portasse la firma di David Foster Wallace ("Grande, grande scrittura. Un libro che non lascia scampo.") possa giustificarmi almeno un po'.
Potremmo cominciare a parlarne con - no, già così parte brutto, 'sto paragrafo.
Vabbè.
Un po' di annotazioni a caso:
1) Il titolo è azzeccato e l'effetto che suscita è molto più studiato di quel che potrebbe sembrare.
2) Eggers con Foster Wallace non ha in comune solo il nome di battesimo, e stilisticamente un po' si sente. Ma solo un po'.
3) Questo è un libro spudoratamente autobiografico e sostanzialmente triste. Parla di genitori morti. Presente? Genitori morti. Tumore. Tutti e due. A distanza di poco e per casualità sfigatissime. E poi le conseguenze emotive e pratiche. Varia gioventù sparsa per San Francisco e luoghi limitrofi o non troppo lontani da, tra cui una campagna irreale ma di fatto reale. Tonnellate di cultura pop. Riviste underground gestite da collettivi post-hippy. Postmodernismo. Post-generazione X. Tutto molto post. Riflessioni. Consapevolezza. La vita. Ricordi. Quelle cose lì. E un fratellino di otto-dieci anni con cui conquistare il mondo senza indugio, e a tempo perso, mentre ci si prova e ci si riesce senz'altro, ingaggiare epici, epicissimi duelli di frisbee sulla spiaggia.
4a) Questo libro fa vergognosamente sganasciare.
4b) E ciò non è minimamente in contrasto col fatto che sia un Libro Serio & Sostanzialmente Triste.
5a) Questo libro, come tutti i libri più interessanti, è composto fondamentalmente da seghe mentali.
5b) Anzi, questo libro è una continua sega mentale.
E adesso possiamo ingranare col resto, sempre in ordine sparso.
Dave Eggers è il trionfo tragicomico dell'autocoscienza (bella questa, me la segno). Uno di quelli che non riescono semplicemente a dire che Giovannino mangia la mela, ma devono obbligatoriamente domandarsi se la scelta della frase sia appropriata e per cosa e per chi, quale impressione abbia la gente di chi esprime un concetto così obiettivamente del cazzo (e se ci sia magari quindi qualcuno che non è d'accordo sull'obiettività del fatto che è un concetto obiettivamente del cazzo, ma ciò - detto per inciso - non è onestamente probabile), perché questo concetto suoni così del cazzo e come e in quale dei mondi possibili potrebbe non suonare del cazzo, quali connessioni leghino chi esprime quel concetto del cazzo al Giovannino compreso nel concetto del cazzo di cui sopra e se Giovannino esista davvero o ricalchi in qualche modo una persona reale e se sì in che misura gli sia fedele in quanto proiezione letteraria, e poi come vada a inserirsi tutto ciò nel contesto geografico-sociologico in cui Giovannino e chi ha formulato quel concetto assolutamente del cazzo sono cresciuti e se il contesto sia lo stesso e cosa c'entri tutto questo con un piccolo, tenero e vacuo procione annegato nei pressi della costa della Virginia proprio un paio di minuti fa (e soprattutto come cazzo si sia venuti a saperlo, che è annegato, e se a qualcuno importi davvero di un fatto del genere).
E il tono è pressappoco questo, per buona parte del libro.
Libro in cui, se non si fosse ancora capito, Eggers parla di sé stesso con un'aderenza al vissuto reale che - stando ai contortissimi e comicissimi disclaimer infilati nella prefazione (una prefazione di circa trentacinque pagine, peraltro) - dovrebbe addirittura spaventare, e provocare nel pubblico leggente soprattutto le due seguenti reazioni:
a) Oh poveretto, quante ne ha passate, tutte insieme, e com'è forte, e com'è interessante!
b) Che cazzo di mostro è uno che sfrutta la morte dei propri genitori per infilarla in un libro e venderla e pretende anche compassione?
E più o meno l'intero libro gira intorno a ciò. Anche a ciò. Fra l'altro.
Il resto? Il resto è una storia che sprizza megalomania consapevole e autoanalisi ancora più tremendamente consapevole, ma soprattutto è una storia che - al di là di tutto - è bella da leggere in tutto il suo isterismo, la sua drammaticità, con tutti i suoi sprazzi di ironia anche eccessiva e spesso dichiaratamente forzata (sì, indovinato, non mancano le riflessioni anche su questo), ma divertentissima e agrodolce. Che ti imprime dentro i contorni di un quadretto surreale, piccolo e immenso al tempo stesso, a metà tra l'individuo e la generazione, e non sai che effetto faccia di preciso, se triste, comico, pungente, grottesco, disarmante, totale, fastidioso, struggente - struggente, appunto, e...
E poi basta.
Ci sono cose peggiori di un libro di memorie. Senz'altro.
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