Dave Matthews Band - "Away from the world"

Negli ultimi tre anni, lo spazio di tempo che ci separa dall’uscita del settimo ed ultimo disco della Dave Matthews Band (“Big Whiskey and the Groogrux King”, 2009), i milioni di fan della jam band americana si sono sicuramente posti una domanda: un eventuale ottavo lavoro avrebbe ricalcato le orme di Big Whiskey, album profondamente diverso dai precedenti e per questo da molti non apprezzato, oppure no, tornando alle atmosfere più intime e poetiche dei superbi primi tre dischi della band?

L’uscita negli Stati Uniti e successivamente in Europa (17 settembre) dell’oggetto del desiderio, “Away from the world”, ha dato una risposta che entusiasmerà i neofiti e lascerà un leggerissimo (ma superabile con pochi ascolti) amaro in bocca ai fan di vecchia data: sicuramente questo disco rappresenta sonoramente la prosecuzione del cammino iniziato a metà anni duemila, con undici tracce fra loro molto diverse ma tutte marcate a fuoco dalla rinnovata (è mai venuta meno, ci si chiede?) sinergia fra Dave Matthews ed il virtuoso della chitarra Tim Reynolds, che oltre a una quantità di live non precisata con la band aveva già avuto una parte da prima donna nella registrazione di Big Whiskey. Alla chitarra di Reynolds (spesso elettrica, e plurieffettata) viene lasciato grandissimo spazio e libertà espressiva, che tuttavia si condensa e colpisce in interventi precisi, mirati, perfetti, senza mai raggiungere la ridondanza. Reynolds, appunto: sicuramente un monumento vivente, ma molti fra i primi fan della band di Charlottesville già dall’uscita dell’ultimo disco denunciarono una eccessiva preponderanza della chitarra elettrica a scapito degli interventi di Boyd Tynsley (violino) e Jeff Coffin (sassofonista per anni dei Bèla Fleck and the Flecktones, entrato in corsa nella DMB nel 2008 in sostituzione del defunto Leroi Moore).

A favore di “Away from the world” va comunque spezzata una lancia, anche due. Gli interventi di violino e sassofono (in coppia con la tromba dell’imponente Rashawn Ross) sono sicuramente più importanti e valorizzati rispetto a quanto sentito nel 2009, e per quanto riguarda Reynolds.. beh, se questo disco verrà ricordato in futuro per un riff di chitarra, sarà senza dubbio quello di “Gaucho” (primo singolo sguinzagliato in rete) che però è chiaramente firmato da un Dave ispirato dagli anni migliori - su youtube sono già presenti innumerevoli tutorial per imparare a suonare quel maledetto meraviglioso motivetto.

Il secondo estratto, “Mercy”, ha mandato in visibilio gli affezionati di mezzo mondo: una ballata d’amore che potrebbe benissimo essere una ghost track di uno dei primi tre album, universalmente considerati i migliori suonati dalla DMB.  Nel bridge strumentale il violino e la chitarra elettrica incastrano le proprie frasi alla perfezione, ne nasce un’atmosfera che fa sentire a casa. Il lungo strumentale finale, nel quale irrompe in punta di piedi un pianoforte a fare da reminder armonico ai soli di sax e violino, è da brividi. 

Una traccia difficile da analizzare è “Drunken soldier”: una lunga suite della durata di quasi dieci minuti, nella quale trovano posto progressioni strumentali significative - meravigliosa l’introduzione (la seconda, in seguito a un minuto di flashback bluegrass) in stile messicano che va a sfumare in una bellissima frase di violino classico, anche qui accompagnata da un riff di chitarra degno di un manuale di conservatorio. Non potrà sfuggire agli orecchi più allenati una voluta doppia citazione dei Pink Floyd: la base strumentale di “Breathe” ed il basso di “Great gig in the sky” ci accompagnano fino alla fine del brano. Un esperimento musicale difficile, complesso, ed alla fine ottimamente riuscito.

Chiuderei questa breve analisi del disco con un’altra traccia che mi ha colpito: “If only”. Il fraseggio ordinato della batteria va a dare ritmo ad un riff che di suo non ne avrebbe bisogno, nel complesso di un pezzo che probabilmente diventerà una pietra miliare dei prossimi concerti - anche se rispetto ad altre ballate del passato del gruppo questa suona un pochino pop. Tale fortunato destino non toccherà probabilmente a “The riff”, a mio parere grande incompiuta di questo disco.

Volendo dare una valutazione complessiva all’album, si può dire che rispetto a Big Whiskey siamo tornati su un pianeta dall’atmosfera più compatibile al suono storico della Dave Matthews Band. Se questo disco fosse uscito nel 2009, bypassando Big Whiskey, lo shock a livello musicale della prematura dipartita di Leroi Moore sarebbe stato meno profondo. Ciò che veramente è cambiato negli anni nella scrittura di Matthews, è l’atmosfera generale delle composizioni: non aspettatevi di trovare in questo album le atmosfere tremendamente buie di “Warehouse” o i ritmi ossessivi di “Two step”, la cantautorialità impressionista e ironica di “Seek up”; si respira una generale sensazione di pace, positività, propositività (vide il testo di "Gaucho"). Ciò detto, “Away from the world” è senza dubbio un album riuscito: consigliato. (4/5)

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