Nel maggio del 2018 Boyd Tinsley è costretto a lasciare il gruppo. Apparentemente per problemi familiari, ma dopo poco compare sulle cronache, investigato per abusi sessuali, pare, nei confronti di un trombettista ed altri musicisti in progetti paralleli a quelli della DMB.
Il violinista country, così, viene allontanato ed uno dei membri fondatori, caratteristici e compositore della band, dopo 26 anni, viene a mancare (anche se non completamente, dato che è presente in “Idea of you” e nella composizione di “Can’t Stop”) nel sound di una delle jam band più fiche del pianeta.
Ascoltando gli album della Dave Matthews Band ho imparato a “musikimmaginarmeli” con l’orecchio di chi vorrà andarli a sentire dal vivo, perché è live che la band del nativo di Johannesburg rende al 200%.
Dopo sei anni da “Away from the World” abbiamo un album riconoscibile nel suono, nelle dinamiche di Carter Beauford (batterista fenomenale, dal mio punto di vista), con una sezione fiati ormai collaudata formata dal mostro sacro Jeff Coffin al sax e Rashawn Ross alla tromba e due piccoli ingressi che danno nuova verve al tutto.
Il primo è quello dell’organista Arthur “Buddy” Strong (già con Usher, Israel e tanti altri), ufficialmente accreditato nella band (per “Black and Blue Bird”) e l’investitura a membro della band di Tim Reynolds, chitarrista, vocalist e multistrumentista già in tour con la band e con Dave Matthews, in duo, in svariate occasioni.
Non è un disco che mi ha convinto al 100% al primo ascolto.
E’ un disco che ha bisogno di approfondimento, soprattutto per chi ha ancora nella testa capolavori come “Under the Table and Dreaming” o “Before These Crowded Streets”.
C’è un’immagine più intima della band, non ci sono virtuosismi o solismi nella registrazione (se non proprio quello di Dave Matthews in “That girl is you”, canzone difficilissima a livello tecnico da riproporre, tra falsetti e arrochiti in controllo), sono brani costruiti dalla prima all’ultima nota, pensati nelle parole, una composizione legata all’universo femminile, dalla nascita, passando per crescita, l’amore, la sofferenza, l’idealizzazione della “She” (brano principale dell’album) perfetta, per chiudere con la consapevolezza che gli anni si fan sentire (son 51 le primavere per Dave Matthews) e prima o poi si dovrà lasciare questo mondo alla generazione futura (“Come Tomorrow”), con fiducia e ottimismo.
Le tracce sono ben 14 (in realtà 13, perché “bkdkdkdd” è solo un intermezzo musicale di 27”) e l’aggregante principale è proprio Dave Matthews che ci mette faccia, parole e voce per tutto l’album, come probabilmente mai aveva fatto prima con così tanta preponderanza per tutta la durata dell’opera.
C’è da dire che “Come Tomorrow” non annoia e bastano tre o quattro ascolti per entrare nel mood che ti permette anche di notare la meno accattivante ballata country “Black and Blue Bird” o l’eterea “Virginia in the Rain”, ma soprattutto il lascito di “When I’m weary” (“quando sono fiacco, quando sono stanco, mi ricordi di continuare a provare … quando sarai fiacca, quando sarai stanca sarò io a dirti di andare avanti”) con un arrangiamento minimale, ma emozionalmente efficace con Mark Batson (uno dei produttori insieme a John Alagia) al piano, gli archi suonati e da Oliver Kraus e Amy Sanchez al corno francese.
Le tracce di sicura menzione, quelle che probabilmente rimangono di più, sono sicuramente “She” (allegata una versione con “The Roots” live), “Samurai Cop (Oh Joy begin)” già presentata in diversi live in giro per gli Stati Uniti (sarà colpa mia, ma ci ho trovato qualcosa degli “U2”), sicuramente un brano di presa radiofonica, la frizzante e funky “Can’t Stop”, la scanzonata e weezeriana “Do you remember”, la splendidamente poppeggiante “Again and Again” e la title track “Come Tomorrow”, con la presenza della co-vocalist folk Brandi Carlile.
Piccola nota per il cammeo del compianto LeRoi Moore, il cui sassofono risuona in “Idea of you”, brano originale, ma inciso e registrato live molti anni orsono a Charlottesville, rimasterizzato ed inserito a puntino in questo 2018.
In ultima analisi mi vien da dire che l’album è prodotto come al solito in maniera magnifica, che la band suona sempre benissimo, che Dave Matthews risulta in ottima forma vocale (almeno nella registrazione) e che… manca qualcosina.
Forse manca Boyd Tinsley, forse manca un po’ di novità, forse la ritmica di Beauford-Lessard è troppo contenuta (pronta a sfogarsi in tour), forse mi aspettavo che Reynolds spiccasse di più, forse è semplicemente troppo pop, per i miei gusti, forse devo solo aspettare di risentirli live, per convincermi a pieno, spero presto, nel 2019.
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