Ci sono degli album che sono composti da qualcosa che va oltre le note.

Ti ci concedi e ti prendi tutto quello che ti possono dare; il prezzo sta nel lasciargli al tempo stesso qualcosa di te. Non ce ne sono molti nella vita, ma quando ti trovi ad ascoltarli eccoti catapultato nel passato a rivivere cose che volente o nolente, ora devi subire ancora; poi a te la scelta se in maniera attiva o passiva, se col sorriso o col mal di stomaco.

E così eccomi in un parcheggio a scorrere inutilmente i dischi dei miei porta cd, senza trovare niente che corrispondesse alle mie esigenze. Poi ecco girare l’ennesimo disco e leggere “Dave Matthews Band” e “Crash”, automaticamente lo sfilo dalla custodia e lo inserisco nel lettore. Poi parte un’altra storia, partono i ricordi insieme ai fiati di “So much to say”, in allegria si scopre cosa è una fusion e quanto sia bello ballare su una musica diversa, con “Crash into mearriva la consapevolezza di quanto possa essere bella una canzone d’amore senza essere banale, pur tenendo gli stessi alti per tutto il pezzo o con “#41” di quanto possano essere scomodi ma belli tanti accordi con l’acustica, che smette di essere uno strumento da falò, ma qualcosa di più, di molto di più. A “Tripping Billiestutto diventa frizzante e chiaro, (si questo disco è un capolavoro e la vita può essere bella !!!). Con “Let you down” mi posso sciogliere ed imparare ancora come si fa musica… non si finisce più con questo cd…

Il disco finisce alla fine, ma è uno di quelli che si ascolta di continuo in loop, ma partiamo da “Two steps” perché è il capolavoro nel capolavoro e poi sento la ritmica incalzare, la vita che ha un commento sonoro adeguato perché “life is short but sweet for certain we’re climbing two by two to be shure these days continue these thing we cannot change

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