David Axelrod è senza alcun dubbio uno dei compositori più originali ed innovativi che la storia della musica abbia mai conosciuto. Nato a Los Angeles nel 1936, David si avvicina ben presto all'arrangiamento e alla creazione di complesse partiture musicali, fino a giungere alla maturazione definitiva del ben noto mix di sonorità Jazz-Funk, influenze Rock, orchestrazioni maestose e atmosfere "cinematografiche", che lo hanno reso riconoscibile a livello internazionale.

Questo "Songs Of Experience", pubblicato nel 1969 due anni dopo il magnifico "Songs Of Innocence", rappresenta uno dei massimi vertici della discografia axelrodiana, un'opera che ben sintetizza il genio visionario dell'artista californiano. L'album, così come il suo predecessore, si pone l'obbiettivo di tradurre in musica alcune poesie, questa volta otto, tratte dalla sterminata produzione letteraria del poeta ed incisore William Blake (per l'esattezza dalla raccolta "Songs Of Experience", che dà il titolo al disco), tentando di mettere in risalto le forti analogie e vicinanze concettuali tra la musica di Axelrod e l'opera dell'artista inglese del Settecento. Si parte con il coinvolgente incedere di batteria ed archi di "The Poison Tree", interrotto sul più bello da un acido assolo di violino, prima di sfociare in calde sonorità dal vago saporo Proto-Lounge e Downtempo che introducono la successiva e dolcissima "A Little Girl Lost", il cui mitico riff di chitarra fa da sottofondo alla consueta e suggestiva orchestrazione e a ritmiche pacate e rilassanti, quasi da sogno. L'organo Hammond ed il drumming sostenuto di "London"proiettano subito l'ascoltatore in uno dei più cupi e fumosi noir, mentre l'inquieta introduzione della successiva "The Sick Rose", tutta moog e ottoni, lascia ben presto il passo ad una continua alternanza di momenti distesi e più tirati, che sembrano quasi riflettere in sette note l'andamento discontinuo e frammentario di una mente assopita. "The School Boy" si ricollega alla precedente "A Little Girl Lost", con la sua pacata intro di clavicembalo, immediatamente seguita da trasognati arrangiamenti di chopiniana memoria e solite, intense piogge di archi. Da applausi, non c'è che dire. La complessa composizione di "The Human Abstract" ci riporta subito alla mente "Midnight In A Perfect World"di DJ Shadow, che ne campiona lo storico giro di pianoforte, "The Fly" è pura estasi tradotta in musica, la conclusiva ed oscura "The Divine Image"(anch'essa pluricampionata e presente in numerose raccolte di "Rare Grooves") tenta una trasposizione su spartito, controversa chiaramente, della "visione divina" profetizzata da William Blake.

Insomma, al di là della fama di incredibile precursore, al di là dei saccheggiamenti operati da produttori di mezzo mondo, David Axelrod riesce nel suo intento, assemblando sonorità dalla grande potenza musicale e visiva, che rendono merito alla controversa personalità di William Blake, e che ancora oggi suonano fresche e assolutamente non datate, chiaramente non per tutti, ma sicuramente dotate di qualità e profondo fascino. Da avere.

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