Archiviata l'esperienza Tin Machine, volutamente antagonista e anticommerciale, il David Bowie del 1992, rinvigorito artisticamente dopo la caduta di ispirazione degli anni '80, è ansioso di tornare alla ribalta e di ritrovare il posto che gli appartiene nel pop britannico.
Tuttavia i segnali sono discordanti: da un lato c'è l'urgenza creativa e la necessità di convogliare in un disco maturo e libero le recenti passioni musicali; dall'altro il matrimonio con la supermodella Iman e l'apparizione al megaconcerto in memoria di Freddie Mercury sono i segnali della volontà di riproporsi ad un pubblico mainstream e di rompere un'astinenza commerciale di oltre un lustro.
Questa contraddizione è ben rappresentata in Black Tie White Noise, uscito nel 1993: la sperimentazione e la contaminazione tra i generi si accompagnano a un approccio modaiolo che a tratti appesantisce i brani, e che a distanza di quasi 20 anni fa apparire l'opera datata.
Anche se all'epoca Bowie negò decisamente, la scelta come produttore di quel Nile Rodgers responsabile del boom multimilionario di Let's Dance sembrò funzionale a conferire ai brani una patina di commercialità. In realtà nel corso delle registrazioni, a differenza di quanto accaduto 10 anni prima, prevalse l'approccio colto ed "europeo" di Bowie: Rodgers si lamentò in seguito di non aver potuto sviluppare le sue intuizioni, quasi che gli fosse stato impedito di sfornare un altro disco di successo.
La qualità complessiva è alta: i testi tornano ad essere impressionisti e colti; l'elemento sperimentale è presente (in "You've Been Around" la chitarra di Reeves Gabrels è tagliuzzata, rimontata e mandata in loop); gli ospiti presenti sono funzionali al contributo che danno e non gigioneggiano (fa eccezione il povero Mick Ronson, già minato da un male incurabile, che non riesce a dare la "zampata" alla cover di "I Feel Free" dei Cream). Episodi di punta sono il singolo di lancio, "Jump They Say" (che grazie a un ottimo video di Mark Romanek ristabilì, sia pur momentaneamente, il feeling con le classifiche), e "Pallas Athena", che rappresenta il primo segnale dell'interesse per la disco-trance che verrà sviluppato in Earthling.
Ciò che più connota il suono dell'album è la presenza, in molti brani, della tromba di Lester Bowie, che irrompe con i suoi assoli ad arricchire le trame musicali, e del sax del padrone di casa, che starnazza qua e là con esiti a tratti irritanti.
Troppe le cover, addirittura quattro più un autorifacimento (la stessa "You've Been Around" è un ripescaggio dell'era Tin Machine), quasi a sottolineare che si tratta di un disco di sonorità, atmosfere, arrangiamenti e interpretazioni, più che di (nuove e valide) canzoni. Da ricordare il rifacimento di "I Know It's Gonna Happen Someday", scritta da Morrissey per realizzare un omaggio a "Rock'n'Roll Suicide" (da Ziggy Stardust), opportunamente inserita del disco più glam dell'ex Smiths, e ripescata da Bowie in un perverso e narcisistico gioco di specchi (come ebbe a dire, voleva rifare "David Bowie che fa Morrissey che fa David Bowie").
In definitiva un disco di transizione, all'epoca salutato da critici e pubblico, forse in modo un po' frettoloso, come un ritorno in grande stile ai fasti del tempo che fu, ma che comunque rappresenta un preludio alle più sostanziose pietanze musicali che il rigenerato Bowie cucinerà nel resto degli anni '90.
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