("I'm a blackstar, i'm not a popstar")
L'uomo che cadde sulla terra se n'è andato.
lasciata per sempre la via terrena è entrato definitivamente nel mito, in silenzio, nella notte, in una fredda sera d'inverno.
Come una supernova, esplodendo, ha lasciato un bagliore indelebile nel firmamento.
Questo Blackstar , 25esima fatica in studio dell'artista inglese, non può essere considerato un disco qualunque.
E' il testamento spirituale di uno degli ultimi mostri sacri della storia del rock.
Il duca bianco ci ha lasciato in grande stile. Tolta la maschera dalle fatiche di una carriera "camaleontica" resta l'impronta dell'uomo e dell'artista, qui al culmine dell'ispirazione.
Eppure l'enigma resta intatto, e ogni traccia in questo disco lo rafforza, pur svelandone parzialmente il mistero.
Inizio e culmine del disco è la title-track. L'ermetica Blackstar ci porta in stanze cupe davanti a specchi deformanti, in un lungo viaggio musicale di ispirazione jazz che in parte ricorda gruppi di culto ( seppur misconosciuti al pubblico italiano) come i Gong, una suite di dieci minuti che affonda gli artigli nella carne viva di chi ascolta e può essere definito il capolavoro dell'ultimo Bowie.
Anzi, io direi, il capolavoro musicale degli ultimi anni, insieme all'altrettanto nero, nei colori e nelle tematiche "Black Lake" di Bjorkche con questo ha in comune un progetto visivo grandioso e cupo.
Il testo, criptico e colmo di richiami e ricami misterici, ci riportano nelle stanze segrete già citate dell'inconscio del cantante, "nella villa di Ormen", tra misteriosi occhi e misteriose mani con una candela "al centro di tutto" nel "giorno dell'esecuzione".
Ormen è una cittadina norvegese e il suo significato è "serpente", e il suo inserimento nel testo è un omaggio allo scrittore svedese Stig Dagerman, morto suicida a 31 anni.
La canzone, già inquietante di per se, è accompagnata dal video ( di cui abbiamo accennato in precedenza) che ha preceduto l'uscita dell'album nel mese di novembre, un inquietante cortometraggio di ottima fattura cinematografica (il regista è Joan Renck) che ci rimanda a un altro libro, "Coraline", romanzo fantasy dello scrittore Neil Gaiman dove uno dei personaggi, "dagli occhi a bottone" altro non è che l'immagine speculare (e quindi contraria) della madre della protagonista in un mondo di specchi opposti, che si nutre delle anime delle sue vittime.
La cecità profetica di Bowie, immagine speculare del suo mito e suo contrario, ora libero di vedere e raffigurare il suo mondo interiore e artistico senza più limiti, di farlo fuorisciure nel suo riflesso fedele e contrario, si perde e ritorna in seguito, quando il cantante, ormai libero dalle bende, sacerdote di una religione occulta, mostra allo spettatore un libro (emblema di conoscenza) sulla cui copertina fa bella mostra di se una stella nera (o pentacolo) che sembra rivelare un mistero che però resta tale.
L'astronatua del video (il major Tom di Space Oddity ?) è ora defunto, come un angelo caduto da un altra dimensione, il suo teschio ornato di diamanti è oggetto sacro di un culto pagano di liberazione, dove i corpi, resi tremanti dalla malattia del mondo materiale, cercano una comunione in un rito di liberazione di carattere esoterico.
la ragazza che raccoglie il teschio ha una coda, essa ci informa che non siamo nè "qui" nè "ora" m abbiamo varcato la soglia di un mondo speculare ( lo specchio di Coraline?). Essa ci ricorda, non casualmente, Jennifer Connely in "Labirinth". In un fotogramma, la stella nera viene spezzata in più parti.
Un video contorto e carico di simbologie occulte, che non mancherà di far scatenare gli amanti dei complotti e i fanatici religiosi che vedranno in questo un dichiarato "inno al satanico".
Bowie del resto, appassionato qual era di esoterismo, sembra non voler far nulla per smentirli, come in passato, quando in Station to Station, descriveva un viaggio attraverso le sephirot dell'abero della vita, "Da Kelther a Malkhut".
L'uomo dagli occhi di bottone, "il profeta accecato", tornerà anche nel secondo video dell'opera, "Lazarus", evidente richiamo alla resurrezione, alla vita oltre la morte che rende se possibile ancora più inquietante l'intera operazione.
Qui l'artista è sdoppiato: il malato nel letto a cui la malattia, la benda dagli occhi di bottone toglie forze e energie vitali, ma dona capacità sensitive superiori, , e l'artista, in piedi, che descrive la sua ultima opera d'arte prima di rientrare nell'armadio, metafora , non troppo velata, di una bara.
i segni della malatia sono visibili, per nulla celati. i movimenti di macchina indugiano sulla pelle tesa, il corpo smagrito, lo sguardo profondo e distante al contempo.
Basterebbero questi due pezzi, da soli a far gridare al capolavoro assoluto. ma c'è di più. Da segnalare, il pezzo musicalmente più immediato, "Girl Loves Me", che non risparmia, come gli altri, attacchi deliranti e confusi nel testo ("where the fucking did monday go"?)
"Sue (Or in a Season of Crime)" è un pezzo dall'elegante gusto jazz, come altri del disco, "I Cant Gave Anithing Away" è una degna chiusura dell'album, che nulla toglie, e nulla aggiunge, ai capitoli precedenti
Un disco criptico, raffinato, di difficile comprensione, che solo i palati raffinati saranno in grado di aprezzare davvero, e che dovrà l'inevitabile successo commerciale al clamore mediatico dovuto alla scomparsa del suo autore.
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