GLI ALIENI ABBANDONANO PER MANIFESTA INCAPACITA’
È arrivato il freddofreddo! Ed è anche lunedì! Reggo solo grazie al fatto che sta per arrivare la pausa natalizia che, a parte Vigilia, Natale, Capodanno, S. Stefano, Epifania, … non è poi così male: si può stare a casa ad ascoltare Sandinista dall’inizio alla fine che tanto di tempo ce n’è. Con questi pensieri in testa rientro dal lavoro.
Non essendo venerdì non mi aspetto sorprese spaziali ma loro sono lì, in sala, sotto la gigantografia del Maestro David che zittisce tutti dall’alto della parete accanto allo stereo, e confabulano tra di loro. Stranamente lucidi, nel loro comunicare diffondono un ronzio che ricorda quello dei primi rasoi elettrici, come si chiamavano?? Ahhh Ronson! Ronson!?!? Mi sa che l’analogia è stata telepaticamente indotta da questo paio di alieni degeneri!
Li ammonisco subito, se volete ascoltare e/o parlare del Duca sappiate che, per me, Bowie non è una passione musicale, no. Per me è un fratello, un amico, un padre spirituale, un maestro di vita dispensatore di mille dubbi e di poche certezze.
La mia storia personale è simile a quella di milioni di persone che hanno incontrato la musica e l’arte di Bowie in età adolescenziale rappresentando una sorta di iniziazione artistico-culturale che ha cambiato la visione del mondo da un giorno all’altro e per sempre. David era l’amico che mi faceva evadere dalla noia del paesello, mi faceva sentire diverso, (stra)ordinariamente unico.
Anche lui ha incontrato gli alieni, intorno al 1971, perché – per chi non lo sapesse - Ziggy Stardust non era un extraterrestre ma un umano che casualmente entrava in contatto con entità di un’altra dimensione grazie alla sua radio e che, scambiando i loro messaggi per rivelazioni spirituali, accettò il ruolo di messia sulla Terra: così ha scritto “Starman”, che è l’agognata notizia di speranza rivolta all’umanità.
Sto ancora cianciando del mio grande amore quando … ZOT! Mi ritrovo a Villa Ofmilla, alle porte di Roma, primi di agosto del 1973. A bordo piscina riconosco sua moglie Angie, l’amico e corista Geoff MacCormack, la guardia del corpo Stuey George. C’è anche il rappresentante della RCA italiana Carlo Basile che vuole parlare con Mick Ronson. David si annoiava ed è già ripartito per Londra, solo un mese prima all’Hammersmith ha ucciso Ziggy tra lo sgomento generale.
Ancora una volta me l’hanno fatta … quante volte avrei voluto dire a Bowie “ti prego non sciogliere gli Spiders, almeno un altro album, ti prego almeno unoooo!” E loro mi portano al funerale dei ragni! Ma potevate portarmi sul luogo del delitto, almeno vedevo il concerto! Bastardi alieni che, come oramai si sa, sono senza cuore.
E’ appena uscito l’ultimo lavoro di Bowie, un’insolita raccolta di cover con il titolo di “Pin-Ups”, Mick sta tentando di instradare una carriera solista e la RCA ha avviato una sorta di comarketing anglo-italiano con Patty Pravo che fa diventare “Walk on the Wild Side” di Lou Reed (e Ronson + Bowie) “I giardini di Kensington”, e si pensa di ribaltare la cosa affidando a Ronson “Io vorrei… Non vorrei… Ma se vuoi” di Lucio Battisti e Mogol (che diventerà “Music is lethal” presente nell’album “Slaughter on 10th Avenue” di Mick Ronson).
Ma che Battisti e Mogol! Senza te Ziggy sarebbe rimasto con il braccio a mezz’aria e nulla sarebbe successo a Tops Of The Pops! Senza te non ci sarebbero stati i tre minuti nei quali “Starman” ha avviato la rivoluzione culturale tra i giovani britannici felici di aver trovato finalmente qualcuno che potesse guidare la loro spedizione verso le stelle. Non solo il chitarrista quindi, ma l’alter ego di Ziggy, ma l’acuto produttore, ma l’arrangiatore (degli archi sublimi), ma … un talento fuori misura e una persona incredibilmente semplice ed educata, forse troppo per il mondo della musica.
Però, diciamocelo chiaramente, dei 4 album di inediti del periodo glam, Hunky Dory è un album costruito più sulle tastiere che sulla sei corde (anche se “Queen Bitch” … o yeahh!) e in “Diamond Dogs” la chitarra la suona David. Quindi, se come me amate il modo in cui Ronson fa ululare la chitarra elettrica come cagne in calore in “Moonage Daydream” restano la miseria di due album. Ed ecco che, “Pin-Ups” diventa un album da avere ad ogni costo!
Registrato più o meno con la stessa squadra che Bowie aveva impiegato durante i suoi anni d'oro - il produttore Ken Scott, il chitarrista Mick Ronson e il bassista Trevor Bolder, oltre al tastierista Mike Garson, al sassofonista Ken Fordham e al corista Geoff MacCormack, alla batteria Aynsley Dunbar al posto dello spider Woody Woodmansey – Pin-Ups è stato per troppo tempo considerato un fallimento. La critica principale che da sempre gli è stata mossa è quella che gli originali sono più belli delle cover. In effetti le canzoni sono state originariamente concepite come pop istantaneo, e la loro semplicità richiede un approccio ruvido nel cantato per dar loro la forza di cui hanno bisogno. Ma la voce eccessivamente educata di Bowie si distacca con noncuranza sopra la musica e, anche se alla maggior parte delle canzoni viene riservato un trattamento più che amorevole, non sempre è adeguato.
Il confronto con gli originali, però, non era necessario all’epoca della pubblicazione, poiché molti brani erano sconosciuti alla maggior parte del pubblico, ed è inutile oggi. Forse è uno dei dischi più onesti mai realizzato da Bowie: "Questo sono io", dice, "e questa è la musica che amavo". Nessuna grande affermazione, nessuna licenza artistica, nessun concetto generale. Solo una serie di istantanee della scena dei club londinesi degli anni '60 e una serata con uno dei più grandi jukebox del mondo! Pin-Ups non è mai stato un esercizio di nostalgia. Piuttosto, era come se Bowie si chiedesse: se queste band nascessero adesso, con gli stessi musicisti e le stesse canzoni, come suonerebbero? È improbabile che avesse torto nella maggior parte delle sue conclusioni.
Se, come è vero, la vittima della notte del 3 luglio 1973 all’Hammersmith è stato il fido Mick, abbiate almeno la voglia di ascoltare cosa sa fare con la sei corde per il tempo che David gli ha voluto concedere. Pin-Ups ve ne dà l’occasione: non sprecatela.
P.S. tornato dal viaggio allucinato nel passato, ancora incazzato per non aver visto David, torno a raccontare agli alieni delle mille trasformazioni del nostro - Halloween Jack, Philadelphia Soulboy, Thin White Duke, Berlin Hermit, New Romantic Clown, Trendy Restaurant Waiter - della trilogia berlinese, di “Scary Monsters”, di quando, negli anni ‘80, sconfessando il suo credo (penso solo a cosa provo e cosa vedo. Non mi preoccupo mai del pubblico a cui piacerà la mia musica), diventò l’artista pop più famoso del pianeta, del Drum and Bass, di Black Star e del modo in cui il Genio ha deciso di lasciare la Terra, di come Bowie sia stato un innovatore in tutto, nella musica e nella teatralizzazione dei concerti, ha introdotto il look, il trucco, e poi c’è l’attore e il pittore e … Ma mi sa che è troppo, gli alieni se ne sono andati dicendomi che non torneranno più, troppo complicata la Terra se vista con gli occhi di Bowie!
- Rosalyn
- Here Comes The Night
- I Wish You Would
- See Emily Play
- Everything's All Right
- I Can't Explain
- Friday On My Mind
- Sorrow
- Don't Bring Me Down
- Shapes Of Things
- Anyway, Anyhow, Anywhere
- Where Have All The Good Times Gone?
Backing Vocals – David Bowie, Mac Cormack*, Mick Ronson
Baritone Saxophone – Ken Fordham
Bass – T.J. Bolder*
Co-producer – Ken Scott
Drums – Aynsley Dunbar
Engineer – Denis Blackeye
Guitar, Piano – Mick Ronson
Piano, Organ, Harpsichord, Electric Piano – Mike Garson
Producer – David Bowie
Synthesizer [Moog], Harmonica, Tenor Saxophone, Alto Saxophone – David Bowie
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