Ce ne ha messo di tempo per tornare a fare musica, 10 anni per l'esattezza. E' un'infinitá per un'artista prolifico come lui, ma alla fine ce l'ha fatta, e il suo ritorno non ha deluso nessuno, né il fan accanito (come il sottoscritto) né il critico musicale esigente.  Diciamo la verità, il singolo che ha anticipato il disco, "We Are We Now?", uscito all'improvviso sconvolgendo tutti, mi aveva lasciato con l'amaro in bocca: una ballata struggente, che evocava il suo periodo berlinese, ma che dopo tanto silenzio sembrava troppo piatta, troppo poco incisiva.


E invece "The Next Day" é una bomba di sonoritá eclettiche, una specie di sintesi dei 24 dischi e dei gloriosi 43 anni di carriera del Duca Bianco. Non é il capolavoro degno delle opere immortali di Bowie, ma il problema di un artista come lui é proprio la troppa presunzione che si ha nei suoi confronti, quella sbagliata ovvietá nell'aspettarsi sempre una "genialata" a tutti i costi. Nel mediocre panorama musicale attuale, invece, questo album rappresenta una perla che di sicuro é anche il miglior materiale di Bowie da una quindicina di anni a questa parte. Frequenti sono i passaggi che ci portano alle sonoritá degli ultimi dischi (Hours, Heathen, Reality), ma qui sembrano trovare una collocazione più curata, più eterogenea, più decisa. A 66 anni e con un peso da innovatore del rock alle spalle, il Duca ci sbatte in faccia un'ora di musica che scorre veloce e chiaro, diretto ma mai banale, mai scontato, mai stereotipato. L'energia è tanta, le ballate sono poche stavolta. Non mancano i momenti straordinari in cui la sua voglia di sperimentare esce decisa e coinvolgente: "If You Can See Me" è travolgente e rumorosa, "Dancing Out In Space" ricorda momenti glam con tastiere da dance floor, un pezzo divertente ma  ricercato, "How Does The Grass Grow?" è uno dei momenti migliori del disco, un frenetico e malato susseguirsi di melodie diverse, di bruschi e improvvisi tappeti sonori con chitarre distorte e tastiere impazzite, un ritornello da urlare a squarciagola, "Dirty Boys", un blues che ricorda l'Iggy Pop di "The Idiot" (prodotto dallo stesso Bowie) dove un sax e una voce quasi metallica si uniscono formando un atmosfera quasi spettrale. E poi c'è il rock, quello diretto e caldo, come l'iniziale "The Next Day" in cui Bowie smentisce le notizie sulla sua situazione fisica precaria cantando "Sono qui/e niente affatto moribondo" oppure la bellissima "The Stars (are out tonight"), secondo singolo accompagnato da un video-capolavoro diretto da Floria Sigismondi, senza dimenticare "(You Will) Set The World On Fire" e "Boss Of Me". La fine è affidata a "Heat", la "The Bewlay Brothers" del 2000, ipnotica, cadenzante, con un'incursione di violini e archi da far accapponare la pelle.

E la sua voce, ancora perfetta, profonda ma soprattutto variegata come non mai, che sibila inquietante: "Dico a me stesso/che non so chi sono/Sono un veggente/ma sono un bugiardo".  Ma in realtà Bowie sa benissimo chi è, sa che è ancora in grado di scrivere ottime canzoni ed è cosciente della sua eredità artistica. Ce lo ha ricordato anche stavolta e noi lo aspetteremo, come sempre, anche nel "prossimo giorno". Bentornato, Mr. Bowie. 

Carico i commenti...  con calma