Uh-oh! Ci fanno notare che questa recensione compare (tutta o in parte) su ondarock.it
Due parole sul contesto storico.
Siamo nell'Inghilterra dei primi anni '70. Le strade pullulano di giovani "dudes": neo-fricchettoni che cambiano i pallosi raduni eco-pacifisti dei loro cugini hippie in uno sfrenato festival del kitsch: un pacifismo finalmente libero dall'ideologia e dalla politica. Le parole d'ordine sono: disimpegno, travestitismo e ambiguità sessuale, in un festival di lustrini e paillettes, piume e rimmel, stivali e tutine spaziali che faranno da culla ideale alla nascita del "glam-rock" in una eccitante "Swingin'" London tutta da inventare.
"Rock'n'roll col rossetto", lo definirà John Lennon. In questo "Festival delle vanità", David Bowie darà vita alla maschera perfetta: Ziggy Stardust. Un alieno androgino dalle movenze sgraziate, truccato come una drag queen e munito di parrucca color carota. E' lui l'incarnazione di questa rivoluzione rock che durerà una stagione sola, il tempo che passa tra la sua ascesa e la sua caduta ("The rise and fall" appunto). Musa ispiratrice di quell'altro capolavoro cinematografico di "Arancia Meccanica" di Stanley Kubrick.
Di questa variopinta e breve stagione musicale Bowie, insieme all'amico-rivale Bolan e i suoi T-Rex e ai più sofisticati Roxy Music, sarà un autentico simbolo e "The Rise And Fall Of Ziggy Stardust and the Spiders From Mars" (l'esatta dizione del titolo) ne sarà l'oggetto di culto, il simbolo-feticcio per le generazioni a venire. Ziggy "polveredistelle" incarna tutti i clichè, ispirati da figure famose come Jagger, Lou Reed, Hendrix (Ziggy è mancino), Bolan (ispiratore della ballata "Lady Stardust"), ma anche da figure sconosciute, all'epoca abbastanza in voga, come Vince Taylor e The Legendary Stardust Cowboy, cruciali per la costruzione del personaggio.
A livello musicale, l'album è una raccolta di ballate romantiche alternate a rock'n'roll elettrici e sparatissimi, al limite del punk (movimento in embrione che sfocerà nel '77 con l'avvento dirompente dei Sex Pistols). Musica da suonare a tutto volume, come raccomanda il retro della copertina. Nelle undici tracce viene sfoderato tutto l'armamentario glam più classico: dalle voci sguaiate ed effeminate alle chitarre affilate, dagli arrangiamenti pomposi d'archi alle melodie struggenti.
In tutto questo circo musical-cabarettistico Bowie non si prende mai sul serio: le sue canzoni sono uno sberleffo alla morale bacchettona, un saggio di trasgressione ironica e, spesso, di puro nonsenso iriverente, una scuola che farà molti seguaci nella Storia del Rock.
Tra i brani spicca ovviamente "Starman", una delle melodie più leggendarie di Bowie con il celeberrimo ritornello ( There's a starman waiting in the sky/ He'd like to come and meet us/ But he thinks he'd blow our minds?") destinato a diventare un evergreen del nostro. Da evidenziare anche la melodica "Lady Stardust", mentre "It Ain't Easy" è l'unica cover: una sorta di space-country con un ritornello quasi gospel. A spezzare questo clima trasognato da musical anni '30 (l'aspetto teatrale e cabarettistico sarà una costante del movimento glam di quegli anni) ci pensano un paio di sferzate proto-punk lanciate a velocità forsennata dai Ragni Marziani scatenati più che mai: "Hang On To Yourself", che per ammissione degli stessi Sex Pistols ispirerà "God Save The Queen", e "Suffragette City", che farà da colonna sonora alle pantomime sessuali di Bowie e Ronson sul palco dello Ziggy Stardust Tour.
La conclusione naturale del disco sarà un "suicidio del rock and roll", consumato nel più teatrale dei modi: con una sigaretta in bocca ("Time takes a cigarette, puts it in your mouth") e implorando un ultimo gesto d'affetto ("Gimme your hands, cause you're wonderful"), che Ziggy mimerà negli show dal vivo andando incontro al pubblico. Il 4 luglio 1973, infatti, nel corso di un concerto all'Hammersmith Odeon di Londra, Bowie annuncerà la morte di Ziggy, tra le lacrime dei fan che non perdoneranno al nostro una decisione tanto dura e inaspettata.
Chiunque negli anni abbia affrontato il rapporto tra performer e pubblico ha dovuto fare i conti con questo diafano "alieno in calzamaglia". "Era una creatura nata per essere idolatrata dai fan - rivelerà Bowie in varie interviste - la utilizzai servendomi dei semplici canoni del rock'n'roll". Un prodotto di marketing insomma, contemporaneo agli studi e alle teorie di Andy Warhol sul rapporto Arte/Marketing, ma studiato fin nei minimi dettagli. Come un'opera d'arte, appunto. Un'arte "totale", in cui la musica si sposa con il teatro, il music-hall, il mimo, il cinema, il fumetto, le arti visive, ma senza mai perdere di vista l'obiettivo finale: il culto della celebrità.
Definirlo "un disco di merketing", non è del tutto sbagliato dunque. Sbaglia solo chi pensa che arte e commercio siano mondi inconciliabili. Un errore che si ripeterà spesso quando si pensa a David Bowie. Come lo fu con Andy Warhol nel campo dell'arte. Ma su questo annoso dibattito saranno il tempo e la Storia a giudicare e questo "Ziggy Sturdust" sono sicuro che resterà nell'olimpo dei dischi imprescindibili della storia della musica.
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