Non sono un musicista e difficilmente riconosco un do da un sol. Eppure questo disco, ascoltato per la prima volta nel 1972, un anno dopo circa la sua uscita (all'epoca questo era il "fuso orario" dell'arrivo degli LP d'oltreoceano in Italia), mi ha immediatamente affascinato. Tutti noi 15-25enni ascoltavamo rock anglo-americano, songwriters, cantautori italiani, musica tex-mex, folk, gruppi etnici… Ma questo disco era diverso, diverso dal suo stesso stato originario Californiano, a cui David Crosby apparteneva con pieno diritto per la sua partecipazione in proprio, nonché insieme a Stills, Nash e Young, o al solo Nash, a The Byrds e a svariate partecipazioni più o meno frequenti negli album dei vari Jefferson Airplane, Grateful Dead e a tante incisioni west-coastiane.
Questo disco è uno di quei parti che avvengono tutto d’un soffio, una creazione dall’ inconscio che genera atmosfere surreali, in cui ogni nota viene collocata come per incanto in un posto che rende tutto il percorso magico e inarrivabile, inafferrabile, seppur vicinissimo alla percezione del nostro senso uditivo magnificato da tali alchimie musicali. E’ musica fluida, che non conosce interruzioni tra un brano e l’altro. Anche la successione di questi ultimi, appare perfettamente incastrata, come se fosse esistita nell’aere e afferrata dal nostro musicista per renderla fruibile. Tutti gli strumenti sono parte di uno stesso piano, appaiono miscelati ad arte, fino a diventare un solo strumento collettivo. Eppure a risentire il disco, si distinguono perfettamente le sonorità, mostrando un lato invincibile della loro sontuosa fluidità acustica.
L’inizio è affidato al pezzo “Music Is Love” e appare come un manifesto hippie, ma gli altri pezzi si snodano (pur se appaiono uno continuativo dell'altro) in maniera determinata e nello stesso tempo soffice. L’apoteosi si raggiunge in “What Are Their Names” incalzante song dove le chitarre acustiche duettano con i coretti che accompagnano la voce di Crosby (qui c’è la prova che non bisogna essere dei grandi cantanti per far apprezzare la voce). Il disco si conclude con un brano, tanto per cambiare surreale, con la voce usata come uno strumento in cui l’eco strugge ed affascina l’ascoltatore che, per alcuni attimi successivi alla conclusione del disco, resta stregato e senza parole, chiedendosi come sia stato possibile concepire un disco tanto bello.
E chissà se David Crosby quando lo ha realizzato, poteva immaginare che aveva scritto tale coacervo di emozioni. Chissà se aveva ancora un barlume di lucidità per capirlo. Una realizzazione eterna, senza tempo. Molto probabilmente non solo per me.
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