Dissezionare la società americana. Punto primo.

Prenderne i pezzi, metterli sotto formaldeide. Punto secondo.

Punto terzo. Lasciare che la gente ci passi in mezzo e guardi bene come è fatta dall'interno la più articolata società (in)civile del mondo.

David Foster Wallace, come un Damien Hirst del sistema umano.

Passi, guardi, non puoi rimaneggiare niente, e lui prima di te non l'ha fatto. Prende i suoi esemplari e li osserva con cura. Alcuni esistono/sono esistiti. Altri potrebbero essere esistiti/esistono/esisteranno, per Wallace è ininfluente, sono tutti parte di una stessa placca di formaldeide divisa a metà, da scoprire, da scavare e descrivere a modo.

Storie anomale, parole anomale, frasi stupende, immagini che ti si intagliano negli occhi. David schiude il pugno e al suo interno compare, in sezioni perfette, lo studio di Jeopardy! (quiz televisivo americano), lo specchio della nuova umanità che vuole i soldi e lo schermo e la fama e le storie verosimilmente false, un microverso che racchiude una campionessa anomala nei modi e pura nella sessualità che predilige le sue simili che stringe le labbra sul cuore di una collaboratrice del programma, che viene manipolata dai produttori, dai presentatori amata, che racchiude in una fragilità spaventosa una visione del mondo che...

Chiude la mano Wallace, apre l'altra, e qui Keith Jarrett fa ballare dislessici repubblicani che bruciano braccia punk le cui bocche abilmente spompinano colui che tortura, e qui il presidente Lyndon B. Johnson apre la porta dell'ufficio al suo braccio destro, che condivide con la campionessa dei quiz la sua purezza in amore omo, e ancora dal palmo della mano si stagliano verso il cielo turbinii di sabbia colma di tristi presagi, che prendono forma in parole che confondono e che riportano sulla retta via, Carverianismo spinto alle estreme conseguenze, in epoche di plastica e metallo laccato di vetro e odio, mentre non si capisce se David Letterman ci è o ci fa. 

In poche parole:

 

 

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