Alla fine del 1982, dopo il secco rifiuto da parte di Waters di concedere a Gilmour del tempo per scrivere alcune canzoni per il futuro album dei Pink Floyd (“The final cut”), nonché di discutere i contenuti e la struttura dell’album, la fruttifera collaborazione fra il bassista e il chitarrista del gruppo si riduce al minimo storico, relegando Gilmour al ruolo di semplice session man (Gilmour si rifiuterà di partecipare anche alla produzione dell’album).

Dopo un periodo così frustrante Gilmour comincia a pensare ad un proprio percorso solista, scrivendo una serie di canzoni che confluiranno in “About Face”. Le critiche del periodo sono abbastanza buone nei confronti della musica proposta dal chitarrista, ma impietose verso i testi, considerati da molti “facilmente dimenticabili e privi di grande spessore”. Effettivamente il tallone d’Achille di questo grande musicista è sempre stata la scrittura di testi adeguati alle trame sonore e vocali da lui proposte, spingendolo a non affrancarsi mai del tutto, fino ad allora, dalla forte personalità artistica di Waters, portando molti a considerarlo un artista incompleto.
Consapevole di questo Gilmour si sforzò di scrivere i testi di tutti i brani dell’album, ma alla fine affidò la scrittura dei testi di tre brani a Pete Townshend (grande chitarrista e compositore negli Who). Di questi tre brani uno fu scartato da Gilmour per il fatto che il contenuto della canzone secondo Gilmour “non era assolutamente riferibile alla mia vita”: la canzone in questione è “White City Fighting” che Townshend utilizzerà in seguito per la realizzazione del suo album solista “White City” (primo caso in cui Townshend compone una canzone in collaborazione con un altro artista). Gli altri due brani sono “Love On The Air" e “All Lovers Are Deranged”: la prima è una buona canzone d’amore, lontanissima dalla produzione floydiana, con un intro un po’ sdolcinato ma un seguito decisamente godibile. La seconda invece è una canzone rock molto decisa, suonata con un buon piglio e decisamente coinvolgente. Anche l’opener “Until We Sleep” è una canzone dalla sonorità aggressivisa ma con una cadenza quasi dance che la rende poco convincente.

Stesso problema, purtroppo amplificato, lo riscontriamo anche in “Blue Light”, primo singolo dell’album, che cerca di rendersi il più possibile accessibile ai giovani di quel periodo, scadendo però nella banalità. Gli anni ottanta sono un periodo musicalmente fertile, ma sia Gilmour che Waters hanno saputo sfruttare male certe sonorità di quel periodo, giungendo in alcuni casi a risultati un po’ involuti (l’efficacia dei “Depeche Mode” resta molto lontana). Il resto dei brani però gravita intorno a sonorità più consone a Gilmour. “Murder”e “You Know I’m Right” ad esempio sono canzoni introdotte da una semplice chitarra acustica e che poi si evolvono in un sound più incisivo e duro, dove la chitarra di Gilmour e la splendida sessione ritmica (Jeff Porcaro e Pino Palladino, fra i migliori negli anni ottanta) si trovano perfettamente a loro agio. La prima delle due esprime la rabbia e la tristezza per l’uccisione di John Lennon, artista mai conosciuto di persona da Gilmour, a differenza degli altri Fab Four. La seconda esprime risentimento e amarezza per il modo in cui i rapporti umani si sono logorati con Waters. Una canzone che smentisce le accuse di Waters secondo cui Gilmour sosteneva l’operato della Thatcher nelle isole Falkland era l’ironica “Cruise”, atto d’accusa verso un intervento militare che poteva essere evitato: questa canzone si affianca idealmente a “Get Your Filthy Hands Off My Desert” da “The Final Cut”.

Fra i momenti migliori dell’album ritroviamo l’intimistica “Out of the Blue”, dove però pesa la mancanza di uno dei classici assoli di chitarra di Gilmour: peccato. L’album si conclude con “Let’s Get Metaphisical” e “Near The End”. La prima è una splendida strumentale, “ricamata” da dolci fraseggi di chitarra, in perfetta coerenza con brani strumentali come “Terminal Frost” da “A Momentary Lapse of Reason”. La seconda invece è la migliore canzone dell’album, con un inizio lento e interlocutorio, una bella parte centrale e un assolo di chitarra prima acustico e poi elettrico da brivido.

Nel bootleg “About Face Live”, testimonianza dei concerti tenuti da Gilmour nel 1984, sono presenti diversi brani di questo album interpretati e arrangiati in maniera molto più convincente rispetto alle versioni originali. La produzione di Bob Ezrin se da un lato ha reso più levigati e concisi i brani, dall’altro lato li ha resi meno “sentiti”. Ascoltate la versione live di “Near The Eend”: dieci minuti fantastici.
Tornando all’album in questione posso dire che solo a tratti Gilmour mostra la propria classe di musicista di razza e il song writing è buono ma non eccelso.

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