La notizia dell'uscita del nuovo album rimanda involontariamente alla recente reunion dei Pink Floyd. Per chi è cresciuto con la mitica band la curiosità è tanta. Non ci è dato sapere se per Gilmour i Pink Floyd sono diventati, dopo tanti anni, una stanca e ingombrante ombra sulla sua creatività ma, certo, esserne stato uno dei capisaldi, gli porterà una notevole pubblicità.
Diciamo subito che un pò tutto l'album presenta una musicalità solenne su ritmi prevalentemente lenti. Il suono risulta ben levigato e la chitarra di Gilmour non tradisce le aspettative degli appassionati. L'intro affidato a "Castellorizon" è in pieno stile pinkfloydiano, una degna apertura per farci capire che si fa sul serio. Si prosegue col pezzo che dà il titolo al disco dal suono avvolgente, impreziosita dai cori di Crosby & Nash, riconoscibili ovunque. Con "The Blue" non si cambia registro mentre con il successivo "Take a Breathe" arrivata la virata rock tanto attesa, mai sopra le righe quasi a dare all'intero lavoro un equilibrio. Fra gli altri brani l'acustica "This Heaven" rimanda all'eterna passione di Gilmour per il blues che trasuda nella struttura del pezzo e nell'inconfondibile solo finale, qua e là gli interventi di Rick Wright alla tastiera, sì, proprio lui, il vecchio compagno di merende floydiane.
Ancora "Then I Close my Eyes" consigliata durante le pomiciate. L'acustica "Smile" sfodera una melodia tipicamente beatlesiana, sembra quasi di sentir cantare McCartney. L'album si chiude con "Where We Start", sobria ed elegante, conforme all'atmosfera notturna emanata dal disco.
Complessivamente un lavoro che Gilmour si meritava alla soglia delle sessanta primavere, elegante e solenne e forse un tantino autocelebrativo ma che sicuramente non deluderà chi sà apprezzare la statura del musicista.
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