David Gilmour torna sulle scene dopo dodici anni dalla pubblicazione di "The Division Bell", ultimo disco dei Pink Floyd, e ben ventidue anni da "About Face", ultimo da solista.

L'attesa è davvero tanta, ma Gilmour sembra esserci abituato e sforna un album che, nonostante poche novità, è pieno di composizioni di altissima qualità.
Il tutto si apre con "Castellorizzon", in cui il chitarrista riesuma alcuni temi musicali dei migliori Pink Floyd, come gli echi di "Echoes" e le campane di "High Hopes", quasi per voler dare un seguito ad un gruppo ormai sepolto ed entrato a far parte della storia del rock. "On An Island" è una canzone che colpisce direttamente i floydiani e li riporta più o meno a metà degli anni settanta, dato che questo pezzo ricorda vagamente "Shine On You Crazy Diamond". I cori di Crosby e Nash, la tastiera di Wright, Klose alla chitarra ed un classico solo sul finale di David Gilmour completano un pezzo che entrerà a far parte della storia dell’intera produzione del chitarrista. Anche “The Blue” è un altra composizione di alta qualità, cantata insieme a Wright, lasciando spazio a Chris Stainton, tastierista di Joe Cocker. “Take A Breath” è il pezzo più deciso e meno sognante delle dieci tracce in scaletta, ma non il migliore. Con la strumentale “Red Sky At Night” si torna ancora una volta a quelle sonorità sognanti e malinconiche da ascoltare nel buio e ad occhi chiusi per poter ottenere sensazioni vere.
This Heaven” è un pezzo clamorosamente Blues che riporta negli anni ’60 con il suo ritmo pigro. Il produttore Manzanera in questo pezzo, come in altri precedenti, suona le tastiere. “Then I Close My Eyes” forse è l’unica nota negativa di quest’album, composta per riempire spazio e allungare la durata di questo “On An Island” . “Smile” è un'altra grande canzone, in cui atmosfere struggenti, mantenute anche in “A Pocketful Of Stones”, prendono il sopravvento e fanno pensare.
La conclusiva “Where We Start” è una ballata malinconica che chiude un album che non delude nessuno. Le collaborazioni, i testi scritti insieme alla moglie Polly Samson, il produttore Manzanera ma soprattutto i virtuosismi di uno dei chitarristi più importanti della storia della musica, confezionano un album sicuramente più convincente rispetto agli ultimi dei Pink Floyd.

È ovvio che un Gimour senza Waters (e viceversa) non è in grado di comporre un opera migliore dell’intera discografia di uno dei gruppi più importanti della storia della musica.

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