All'inizio degli anni Novanta in Inghilterra alcune band hanno dato origine a quel fenomeno musicale chiamato britpop che ha direzionato il modo di concepire e produrre la musica pop rock per oltre un decennio. Chiunque si fosse solo leggermente fatto contaminare da questo pur derivativo modo di fare musica avrebbe quasi sicuramente riscosso l'approvazione, se non della critica, soprattutto del pubblico - che è quello che interessa a quasi tutti i musicisti di successo. Non c'è niente di male, in fondo. Anche i Radiohead, ricordiamolo, hanno pubblicato un disco britpop. Era il 1993, e il disco era "Pablo Honey".
In quello stesso anno, leggermente più a sud, un ragazzo della stessa età di Yorke ma con la voce più roca e un lirismo più ingenuo e sincero strappava un contratto con un'etichetta indipendente e pubblicava il suo disco d'esordio, "A Century Ends". Il disco, di chiaro stampo cantautoriale, non avrebbe venduto che qualche centinaio di copie, facendosi notare solo nei circoli folk della cui cultura era pregno. La ragione? Non c'era nulla di paragonabile ad un pezzo britpop. Ma non si trattò di un incidente di percorso. Quella del ragazzo col faccione simpatico era una scelta consapevole, che si sarebbe protratta per altri sei anni con la pubblicazione di altri due dischi folk pop passati completamente inosservati, fino alla pur meritata consacrazione col più orecchiabile (ma non meno onesto) "White Ladder" (1998). Ringraziando il cielo, oggi David Gray è più conosciuto e apprezzato di quanto non fosse quando il britpop era ancora così in voga e la sua voce così unica e intensa, un vero dono divino, fa spesso capolino quando si pensa agli artisti che hanno cambiato il modo di concepire il pop nel corso del decennio scorso.
In effetti credo che David Gray abbia compiuto una piccola rivoluzione in ambito pop con i suoi album. Artisti che hanno sempre venduto più di lui e che hanno molto più successo di lui devono molto alla sua voce, alla sua umiltà, allo spirito che ha saputo imprimere nelle sue canzoni, e trasmettere ai suoi ascoltatori, musicisti e non. Recensire "A Century Ends" è probabilmente il modo migliore per rendere omaggio a questo grande cantautore che è stato capace in poco più di un decennio di attività di regalarci alcune tra le migliori canzoni folk pop degli ultimi vent'anni. Una di queste, forse la più rappresentativa, è anche l'opener del disco, la mistica, sofferta "Shine". "Shine" è qualcosa di semplice ed estremamente complesso insieme; non semplicemente una canzone, ma un modo di vivere la musica, di esserla e di produrla. La maniera in cui voce e chitarra acustica si intersecano nell'accompagnare la bellezza e la pregnanza del testo sono a mio parere irrintracciabili in qualunque altra canzone, comprese quelle che Gray realizzerà successivamente. Qui il nostro dimostra subito un modo unico di dare risalto con la sua voce intensamente espressiva ad ogni singola parola e frase del testo. Il brano assume fin dal primo ascolto pur nella sua semplicità una valenza quasi sacrale, che evolve in un sincero climax emotivo lasciando l'ascoltatore senza fiato.
Con "A Century Ends" si torna sulla terra, il ritmo è più incalzante e fa ben presto capolino un riff elettrico, ad accompagnare le evoluzioni melodiche decisamente più rock e il testo potente e intenso quanto il precedente, anche se orientato verso l'esterno a mo di onesta e npn retorica critica sociale. Ma, ripeto, siamo ben lontani dagli ammiccanti e geniali arrangiamenti dei primi britopopper. Quello che interessa a Gray è trasmettere emozioni pure, come pure e semplici, insieme tristi e immediate, sono le sue melodie. E infatti si torna alla melodia pura con la successiva "Debauchery", altro gioiello di immediatezza, giocato su un facile giro di accordi su cui poggia la voce passionale e un dolce pianoforte a cui Gray affida il poetico ritornello strumentale e il gioco di rimandi a metà tra Bob Dylan e Beatles. Sfido chiunque a non pensare almeno un momento a cantanti come Francis Healy o Damien Rice, la cui evoluzione compositiva è sicuramente passata attraverso le note di questi pezzi. Si prosegue con la troppo lunga e fluida "Let the Truth Sting", che parte bene con soffici violini e riff geometrico, perdendosi leggermente nel ritornello qualitativamente troppo spigoloso e recuperando appena nell'ambizioso picco melodico del ponte la sua giusta direzione; da salvare è soprattutto il testo ispirato e duro. Più ambiziosa e riuscita è "Gathering Dust", riflessiva e malinconica, in cui fanno dolcemente capo alcuni dei temi preferiti di Gray: il tempo e la solitudine. Si tratta sostanzialmente di una leopardiana ballata sull'accettazione del dolore - in questo tipicamente folk. Notevole ed emozionante.
La seconda parte del disco si apre con "Wisdom", dove Gray approda su un territorio più poprock con un ritornello molto alla U2 la cui epica piuttosto ammiccante non stona comunque con l'intero equilibrio dell'opera. Artisticamente migliori sono le confessioni della successiva Lead Me Upstairs, il cui inizio è affidato solo a basso e voce a cui si aggiungono lentamente gli altri strumenti (tra cui il sassofono) in un finale dissonante e ruvido, e di Living Room, la cui forza sta tutta, come nelle precedenti "Shine" e "Debauchery", nell'espressività della voce di Gray e nell'ispirato testo che sa di abbandono ("If life's just a living room, then I'm in the hall and I'm glad"). La criptica "Birds Without Wings" poggia su una melodia volontariamente troppo povera, ma a mio parere purtroppo incapace di dare sufficiente stabilità al testo. Nella tesa e conclusiva "It's All Over" si ristabilisce l'equilibrio, sfociando lentamente in una sfuriata rock di oltre sei minuti che però non è tutto sommato all'altezza del trittico iniziale.
Il tempo darà ragione ai pochi che fin dall'inizio avevano scommesso su questo giovane cantautore timido e sincero, che non aveva un'immagine di sè particolarmente attraente e vendibile e girava video semplici in cui camminava su una spiaggia suonando la sua chitarra acustica e sorridendo impacciato ("Shine"). In un tempo di bilanci sulla musica pop, avviati come siamo alla fine di un altro decennio che vede la musica popolare farsi sempre più povera di idee e sempre meno sincera e onesta, è ora di guardare indietro e rendere omaggio a chi ha onorato e continua ad onorare con ottimi dischi ricchi di emozioni e idee la più semplice e spontanea delle forme musicali.
"The hail storm tumbles
The rail line rumbles
You lie on the floor with me
Come closer my love
I'm badly in need
Of an afternoon's debauchery..."
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