In fondo bisogna capirlo: è oggettivamente sfigato. Ma non inteso nel senso più diretto e offensivo del termine (che in realtà gli si addice), ma nell'altro: sfortunato. Non poteva certamente aspettarsi un futuro così avverso quando nel lontano 1980 decise di abbandonare Mark e compagni a causa di dissidi con l'odiato fratellone (per la cronaca: durante la realizzazione in studio del successone Making Movies). Mark a fare soldi a palate e che diventa forse il chitarrista più bravo mentre lui arranca componendo dischi anche di pregevole fattura, magari stra apprezzati dalla critica di tutto il mondo ma disgraziatamente rimasti ai margini di quello che poi, per un artista conta davvero, se decidi di fare della tua passione il tuo lavoro: il sistema del mercato discografico. Le radio. Ovvero i dindini, o li sordi (come preferite). Il povero David, e per povero s'intende in tutti i sensi, è stato dunque costretto a fabbricare colonne sonore televisive scadenti per racimolarne un po'. E intanto Mark, il Knopfler famoso, ricco, bravo diventava solista (o lo è sempre stato?). Ma ora intendo anche difendere il povero David: ha lasciato Mark perché la fama, i soldi non producono arte ma la snaturano. Non è più creare arte ma venderla. David dice che ai tempi di Making Movies, i Dire Straits erano ormai già diventati una macchina commerciale e lui decise di tirarsene fuori. Io gli credo. Perché poteva restare dov'era. Ma lui no...Quel bastardo del produttore (Ed Bicknell) gli scartava continuamente ciò che lui proponeva e quel monello del fratello lo oscurava suonando sopra le parti che David aveva curato...Era giusto andarsene. Il povero David è un uomo di valori: è membro attivo di Greenpeace e di Amnesty e non lo sbandiera (la cosa peggiore che si possa fare). Insomma, l'avrete capito: rivalutiamo David Knopfler.

Il disco non è fatto male, non è straordinario. Il povero David non inventa nulla ma sguazza nel mondo del rock blues con assoluta dignità. Wishbones, ovvero gli ossicini di pollo utilizzati dagli scrittori di sinistra imprigionati per scrivere in quanto venivano loro sottratte le penne per evitare che si esprimessero (riferimento autobiografico e polemico nei confronti delle case discografiche che controllano il mercato della musica) segue una sua logica interna rintracciabile in ognuna delle quattordici tracce che sembrano non essere disposte a caso. I temi ci sono tutti e sono rilevanti come ad esempio nella canzone Karla Faye, ragazza costretta a prostituirsi in Texas a soli 10 anni e a farsi di eroina a 12; dopo 12 anni di prostituzione ammazzò due persone con un complice e fu condannata alla pena di morte nonostante tutti fossero a conoscenza della sua conversione al cristianesimo nel braccio della morte. Prima donna dopo 100 anni ad essere messa a morte: un certo George W. Bush, in corsa per la Casa Bianca non poteva certo mostrarsi tiepido nei confronti di un'assassina.

Musicalmente il giudizio è controverso: il suo è un rock blues pacato e riflessivo, senza eccessi, poco incisivo, però, in alcuni punti che forse meriterebbero maggiore decisione. Domina l'armonia, dolce melodia che sembra cullare. C'è una sorta di antitesi tra l'enorme armonia della sua musica e la forza dei suoi testi. Una cosa è certa: per quanto ci si possa provare è quasi impossibile giudicare il povero David senza confrontarlo con Mark. La voce, innanzitutto: è molto simile a quella del fratello e ciò impone il primo paragone: chi canta meglio? Direi Mark, ma forse solo per abitudine. Al primo ascolto, le melodie del povero David appaiono troppo similari a quelle di Mark solista, ma con una differenza: Mark dà il meglio di sé quando, per dirla come Rudy Basilico nella recensione di All The Roadrunning, "fende l'aria" con la chitarra ("Speedaway at Nazareth", "What It Is", "Silvertown Blues" e "Boom, Like That") salvo qualche eccezione come "Golden Heart", "Sailing To Philadelphia" e "Back To Tupelo". Il povero David, invece, s'inserisce laddove il fratello non riesce a convincere con canzoni di grande fascino come "King Of Ashes" (è lui stesso che si definisce il re delle ceneri), "Karla Faye" (costruita su pochi accordi di pianoforte) e "The Bones". Ma il capolavoro è "Arcadie" una splendida base di pianoforte accompagnata da vibranti archi e da un dolcissimo sassofono. Delude invece "Jericho": una canzone che sembra in tensione verso qualcosa che non arriva mai concludendosi poi improvvisamente. Manca, inoltre, in quasi tutto il disco, il supporto della batteria che a volte sembra svuotare le canzoni sbiadendole... In generale un buon disco che se fosse stato composto da qualcun altro, con un maggiore supporto della propria casa discografica, avrebbe potuto fare meglio. Ripeto: salviamo il povero David. Rivalutiamo David Knopfler.

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