Per la prima volta recensisco un disco più recente, per lo meno del XXI secolo!!! Si tratta di Diamond Dave, del 2003, l’ultimo album del memorabile David Lee Roth, cantante dei Van Halen e protagonista di una discreta carriera solista.
A priori, ancor prima di sentirlo, ero un po’ prevenuta su questo album, poichè quando si ascolta il nuovo lavoro di un artista famosissimo anni prima, si ha sempre il timore di ciò che si sentirà, sia perché si vede il proprio idolo cambiare (e, alcune volte, peggiorare), sia perché si ha una forte nostalgia del passato, di ciò che è stato e che non potrà mai più ritornare…
Dopo aver ascoltato l’album mi è subito venuto in mente un detto che si usa da queste parti: "mettere la pezza a colore", che significa fare qualcosa per non sbagliare, per il puro scopo di non ricevere critiche, detto più sgarbatamente, per pararsi il c…! Sarà forse un parere solo mio, ma dopo “Eat ‘em And Smile” non ci saranno più album con la grinta e l'energia di prima, a parte qualche traccia sporadica, come per esempio “Slam Dunk!” dell’album DLR Band o anche “It’s Showtime” di "A Little Ain’t Enough", disco in cui alla chitarra compare il povero Jason Backer, colpito alle spalle, durante il tour, dal destino infame…
Non posso fare a meno di notare in David Lee Roth un vano tentativo di rimanere sulla precedente lunghezza d’onda, per una conseguente ed inevitabile arresa, forse celata, a tutt’altro genere. Le cosiddette pezze a colori di cui parlavo sono riferite alle cover che si trovano nella track list di Diamond Dave, troviamo Hendrix, Beatles, Doors, Steve Miller e Savoy Brown. Non ho niente in contrario alle cover, anzi, lo stesso Dave in "Eat ‘em And Smile" ne propone una di Sinatra e l’anno prima produce un mini-EP di sole cover ma, a parer mio, c’è una differenza abissale: in “That’s Life” per esempio, c’è sì il principio di imitazione, ma un’imitazione dinamica, attiva… Mentre ora si nota solo freddezza, puro manierismo (vedi “Soul Kitchen”). Prendiamo ancora, “Tomorrow Never Knows”, di certo è fedele, arrangiata bene, ma la magia che c’è nella versione originale? Scomparsa, a mio giudizio. Diverso è il caso di “Ice Cream Man”, in cui il piano e il sax sono pure simpatici e danno un’aria retrò alla canzone. Infine ho da ridire su “If 6 was 9”, che non posso proprio sentire cavolo, dopotutto è Jimi Hendrix, dov'è la chitarra e perchè è sostituita dal basso? perché non date a Cesare quel che è di Cesare? <> diceva il caro Totò, ma a me non piace per niente…
Sarò forse io prevenuta riguardo ai nuovi album e oggettivamente magari il nuovo tipo di musica che ha proposto Dave va anche bene, c'è sicuramente di peggio, ma non è più lui per me, non è quello che voglio io!!! E quindi continuo a guardarmi i suoi video e i suoi concerti più datati, in cui esibisce i suoi numeri e le sue performances fantastiche!!! Guardando la copertina si ha l’impressione che Dave sia ancora lui, eccentrico ed esibizionista come sempre, ma non è così, ce lo mostra benissimo il cuore di questo album e, se mi volete capire, la sua anima è malinconica e ricca di ricordi, perchè va a scavare nelle radici della musica, per trovare accettazione del tempo e soprattutto un luogo in cui sentirsi veramente a casa.
Detto questo, la concezione della “pezza a colori” crolla inesorabilmente, perché è la situazione a cambiare: queste cover, così asettiche, non sono altro che la proiezione dell’età che avanza. E come un veggente David ha scelto di cantare "That’s Life", questa è la vita, questo è il prezzo per la gloria e per la fama di un uomo che è divenuto leggenda del rock: la vecchiaia…
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