Spiazzante e inaspettata, la notizia che il poliedrico e geniale regista americano David Lynch (dedito anche a pittura, scrittura e arti di varia natura) si volesse avvicinare anche alla musica, per dimostrare il suo talento su ogni campo artistico, insieme mi incuriosiva e mi faceva storcere il naso. L'uscita del singolo "Good Day Today", infatti, mi aveva lasciato abbastanza inebetito: canzone scialba e oscura, nostalgia trip-hop annata 2011, polaroid Bristol sounds remixati a eurodance slowbeat e spiragli di luce in una matassa ossessionante. Una canzone non brutta, ma che scivola addosso senza lasciare troppo. 

La delusione, però, si distrugge, a tratti, inserendo il cd nel lettore: l'apripista, "Pinky's Dream", che lascia la voce ad una sempre splendida Karen O, ha le movenze di un incubo e affascina. Yeah Yeah Yeahs sott'acido e ombre pressanti. Qualche squarcio di dream pop che soffre di tubercolosi e tanta sensualità.   

La title-track deturpa una cadenza alla Horace Andy per disegnare confini quasi blues, quasi struggente nella sua matassa di suoni ossessivi e abbandonati all'oblìo dell'esistenza. In "Speed Roaster", una narrazione tipicamente lynchiana, da amore con turpe psichiche e omicidio annesso, si traduce in un cantato flebile e soffocato su un tappeto quasi dub, sembra un pezzo di transizione, ma è il classico vortice infernale che ti si apre sotto i piedi. 

"I Know" calca bene la scena nel suo disperato tergiversare su una base musicale veramente notevole che ti abbraccia con un coltello nascosto dietro la schiena. Puro delirio d'emozione rauca, che si manifesta come uno degli apici di questo oggetto misterioso chiamato disco. Anzi, non disco, viaggio. Viaggio psichico di abusi immaginari e vertici solenni e dove persino i tempi morti possono aprire un baratro verso l'infinito.

Disco incommentabile, fatto di soluzioni geniali e rilassati momenti di calma apparente che esplodono in infernali gironi danteschi.

"So Glad", ancora più tenebrosa, incarna perfettamente il concetto di "Inferno": un inferno non fisico, ma mentale, dove la polvere e gli spettri ti si proiettano davanti nell'assoluto nulla di questa notte in cui Lynch riesce sempre a farti crollare, mentre "Noha's Ark" rallenta il ritmo e poi lo riprende, sempre ossessivo, sempre ripetuto e fumoso, fino a sfociare in una voce da pelle d'oca. 

Un disco filmico, un viaggio abissale, musicalmente imperfetto, contrariamente alla perfezione cinematografica dei suoi film, ma tremendamente evocativo e, a suo modo, irresistibile.  Da ascoltare al buio, con la sigaretta perennemente accesa, viaggia tra l'essere geniale e il presentimento che sia solo un capriccio d'autore. Ma tanto vale ascoltarlo, viverlo e goderlo, prima che la risposta ai nostri dubbi ci venga troppo presto. O non ci venga affatto, risucchiati come siamo nella scatola blu di "Mulholland Drive". 

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