I compendi e le enciclopedie essenziali non riportano il nome di Alexander Trocchi, molti di voi  non lo avranno mai sentito nominare. Si tratta di uno scrittore italo-scozzese appartenente al movimento della Beat generation. Una personalità intensa la sua che lo portò ad esordire con alcuni racconti pornografici per sconvolgere i benpensanti e a dedicarsi alla stesura di pochi ma interessanti scritti che tutt'oggi non riscuotono grandi successi editoriali. Una personalità che lo obbligò ad una vita di stenti e che si concluse in indigenza e solitudine, solo l'eroina gli rimase fedele fino alla fine. Adombrato dalla penna di altri suoi colleghi, vittima di un giudizio critico spietato, castigato dalla sua stessa indole. A diciannove anni dalla sua morte, il documentarista David Mckenzie ha ridato lustro al sesto romanzo di Trocchi traendone un omonimo film: "Young Adam".

Nella Glasgow degli anni '50, Joe Taylor lavora come manovale su una chiatta alle dipendenze di Ella, la padrona, e del marito di lei, Leslie. La trama si dipana secondo due direttive principali: la prima riprende l'evoluzione di un rapporto sentimentale fra Joe ed Ella, un ménage à trois che culminerà con l'espulsione del terzo incomodo (il coniuge) per poi degenerare con il graduale disinteressamento del protagonista verso Ella. La seconda ha inizio con il ritrovamento da parte di Joe e Leslie nelle acque che stanno solcando del corpo seminudo di una donna. Quel cadavere rappresenta il grande segreto di Joe. Egli ha alle spalle un irrequieto passato da scrittore emergente condiviso con la giovane Catherine Dimly la quale alla fine di un incontro notturno gli rivela di essere incinta. Non convinto della paternità attribuitagli, Joe si infuria e nel corso di una lite arriva per errore a provocare la morte di Cathy. Dell'omicidio viene accusato un idraulico innocente ma Joe non sembra provare rimorsi.

In un'intervista rilasciata a Rolling Stone U.S.A., Tilda Swinton (Ella) si dichiarava indignata per la censura imposta a "Young Adam" la quale giunse perfino ad apporre alla pellicola il temibile "Bollino rosso" mentre in Italia ed in molti Paesi europei è passato in sordina. Aldilà delle riflessioni che ne potrebbero derivare riguardo al fatto che dal 1957 ad oggi in quanto ad elasticità non ci siamo propriamente evoluti, il primo lungometraggio di Mckenzie è di forte impatto, non c'è dubbio. Non di certo perché Ewan McGregor (Joe) mostri l'uccello o perché sovrabbondino le scene di sesso (alcune cinematograficamente memorabili), ma la pellicola nel suo complesso si carica di un realismo esasperato dipingendo  in modo crudo ed essenziale una realtà degradata (gran parte di questo aspetto è legato alla volontà di Mckenzie, che è anche sceneggiatore, di non allontanarsi dal  romanzo di Trocchi). Non è facile rimanere impassibili dinanzi alle ambientazioni scelte sulle quali si muovono i personaggi, basti citare la fatiscente chiatta che avanza lungo il fiume Clyde come un relitto, gli interni disordinati e anonimi, i tristi e sordidi vicoli della città perennemente dominata dai cieli grigi della Gran Bretagna.

Volendo trascendere anche da questo aspetto, si consideri l'identità dei personaggi. La pericolosità di Joe non è connessa esclusivamente al suo essere un assassino (anche se per sbaglio) privo di coscienza ma lo spettatore riesce a percepirla se pur implicitamente nella sua natura duplice: egli è lo strumento attraverso il quale Ella ritrova la femminilità perduta dopo anni di lavoro e con un marito quasi impotente (Peter Mullan nella fattispecie che, tra l'alto, è anche regista; "Magdalene") e al contempo nelle scene di flashback che descrivono la sua relazione passata con Cathy palesa un atteggiamento di prepotenza dispotica e violenta; da passivo ad attivo insomma. Allo stesso modo, la capacità espressiva del corpo prematuramente invecchiato di Ella e la senilità di Leslie vissuta nel peggiore dei modi (a giocare a freccette e a bere) concorrono alla cruda potenza del film e si dispongono funzionalmente intorno al protagonista, disegnato alla perfezione nella sua psicologia, quella di un uomo che cela sotto l'apparente freddezza e il distacco delle sue esperienze sessuali un magma di scompostezza e caos.

Da un punto di vista strettamente tecnico, il regista dimostra di valere soprattutto nel modo in cui gestisce la storia. Per mantenere l'atmosfera di tensione e allo scopo di non scostarsi dalla linea di genere seguita dal romanzo (di non semplice definizione. Alcuni hanno voluto parlare di giallo-filosofico date le differenze stilistiche e di contenuto perfino con il noir e la completa distanza rispetto al poliziesco), l'opera è quasi incomprensibile e l'impulso di cambiare visione è forte ma l'uso equilibrato del flashback ripristina la situazione e riesce a non disorientare tanto meno a mandare in frantumi il racconto. L'ottima interpretazione del cast sul quale spicca la Swinton, impeccabile nei panni sciatti della padrona di casa, più maschia del marito stesso e dell'amante e le  musiche di David Byrne chiudono positivamente il bilancio di un lavoro coinvolgente.

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