Ecco un altro mestierante diventato improvvisamente uno dei nuovi "guru" cinematografici americani, con adepti anche nella nostra penisola. Quel David O. Russell che ha conosciuto il "botto" solo dopo "The Fighter" e i relativi premi Oscar a Christian Bale e Melissa Leo. Genio? Cineasta capace di ridare nuova linfa alla classicità statunitense?

"American Hustle" viene dopo la scia lunga del successo e dei plausi ricevuti dopo il già citato "The Fighter" e "Silver Linings Playbook". Film perfetti nel loro inserirsi nello studio system hollywoodiano. Essenzialmente David Russell è questo: un regista di discutibile talento, privo di particolari capacità filmiche "compositive", tecnicamente nella norma, non visionario, ma amico dei grandi produttori. Uno che quando vuole può contare sugli attori del momento. Anche questo lungometraggio non è altro che la messa in scena delle volontà produttive: nei nomi, nella sceneggiatura, nella realizzazione complessiva di una pellicola che è stata quasi osannata come un capolavoro.

Operazione "Abscam": l'FBI assolda alcuni truffatori tra cui Irving (Christian Bale) e Sydney (Amy Adams) per debellare la corruzione nell'ambiente politico americano e svelare le trame tra quell'ambiente e il "mondo di sotto" mafioso. Su questo impianto si muove la sceneggiatura (scritta anche da Russell). Le premesse per un thriller poliziesco dai tratti scorsesiani c'erano tutte. Il problema è che Russell non è Scorsese e la sua regia risulta debole, priva di una particolare capacità attrattiva. Manca uno spunto registico tale da far si che dopo la visione siano rimaste impresse nello spettatore quantomeno delle scene d'impatto. Una mancanza nella messa in scena che è direttamente proporzionale alla storia narrata, che puzza di "già visto" e che nel finale sublima tutta la sua inconsistenza, con un epilogo che è scontato e quindi prevedibile. Forse la scena che più rimane impressa è quella in cui Bradley Cooper con i bigodini parla al telefono con Amy Adams con i bigodini. Poesia...

"American Hustle" è un buon film di attori, che si salva per il rotto della cuffia e perchè una delle poche cose che Russell riesce ad indovinare è il ritmo della pellicola. Per quanto non abbia potenza emozionale e espressiva, la vicenda procede con la non sottovalutabile capacità di non annoiare.

Il film in questione è un mezzo per ridefinire il lavoro di Russell, diventato ormai uno dei cineasti più in voga ad Hollywood, ma largamente apprezzato anche tra il pubblico che cerca "cinema di qualità": un ottimo direttore di attori, non certo un visionario o un nuovo mago della settima arte. "American Hustle" è il suo perfetto figlio, confezionato ad arte per piacere un po' a tutti e con i nomi giusti per portare in sala più pubblico possibile. Ricorda un po' la parabola dell'altro "grande" new director Tom Hooper, che con un filmettino come "Il discorso del re" era diventato il nuovo fenomeno cinematografico del momento.

Forse, in questi ultimi anni dominati dai blockbuster computerizzati, dalla CGI imperante, dall'esibizione muscolare e fine a se stessa delle spettacolarizzazioni hollywoodiane, bastano un paio di attori di fama e una velata pretesa di autorialità per essere innalzato a nuovo maestro della settima arte.


Carico i commenti...  con calma