A 58 anni, il debutto per la Verve: copertina un po’ Vogue, sarà mica il solito piacione alla soglia dei 60anni, il mai-vecchio tenebroso... con quella faccia un po’ così, quegli occhiali un po’ così…

Eppure è un disco di David Sanborn, a detta di molti il sax alto più influente degli ultimi 30anni, che molti conosceranno per averlo sentito nel primo disco di Jaco Pastorius, con i fratelli Brecker o nei primi album di Mike Stern, sempre su livelli di assoluta eccellenza ma che, diciamoci la verità, non è famoso per il buon gusto nella scelta dei pezzi e degli arrangiamenti nei suoi album solisti…

Decido di dargli “ ancora del tempo”, in fondo se lo merita, e mi ritrovo imbrigliato in un attacco che non perdona – mi accorgerò dopo che il bassista è Christian McBride, il batterista Steve Gadd, che c’è un certo Mainieri al vibrafono e Russell Malone alla chitarra, Gil Goldstein al Fender Rhodes…

Disco notturno per eccellenza, un maestro del sax che riesce ad emozionare con tre note lunghe tenute quanto basta, e poi volare via leggero su un arpeggio fulmineo. Il timbro sempre vivo e ricco di espressione… poi c’è anche chi lamenta l’assenza di effetti, di riverbero, l’easy listening dei brani, e poi gli preferisce l’album “ Pearls” del 1992, dove Sanborn suona certo benissimo ma con un sottofondo di archi che nemmeno in un disco di Mina… Personalmente non riesco a farmi distrarre da questioni del genere.

L’atmosfera che questi musicisti creano è delicata senza essere mielosa, pensosa e malinconica senza essere triste, quasi una pausa dopo un dolore o un momento difficile, uno sguardo disincantato eppure speranzoso. La finezza dell’ arrangiamento di “Man from Mars” di Joni Mitchell, con le poliritmie della batteria insieme agli stacchi di vibrafono e chitarra, oppure la resa sensuale di “Isn’ t she lovely”, con archi meditativi e rispettosi della melodia, fanno passare in secondo piano il coretto stile filmino soft-core anni ’70 su “ Cristo Redentor”… sbavature nella sorgente di tanta bella musica.

Persino la scelta di una commercialissima “Tequila” diventa meno scontata, quando è portata a questo livello pensoso e vivido. “ Sugar” e “ Spider B” , col loro lento andamento soul/funk valgono da sole l’acquisto del CD, con soli magistrali di Sanborn, che dispiega tutta la sua enorme sapienza ritmica e una scelta di note fuori dal comune per essenzialità, mentre Malone, con un suono pieno del legno della chitarra, caldo e fluido, disegna energici ricami a luce soffusa.

Un disco di brani raramente superiori ai cinque minuti, piccole storie cesellate a tempo lento, racconti di viaggi ed esperienze, fiammate improvvise sotto l’urgenza di un’ immagine che torna alla memoria. Non c’è protagonismo in questo lavoro, anche se naturalmente svetta il timbro squillante, solare e lunare, del sax di Sanborn, che trasmette la sensazione di un controllo senza eguali dello strumento e della musica di cui si fa creatore e interprete, una ariosità capace di lasciare ampi spazi alla fantasia della ritmica e agli interventi misurati dei grandi musicisti che collaborano all’opera, capaci di una stringatezza melodica eccezionale, impeccabili nelle lievi variazioni, che ad ogni ascolto rivelano la partecipazione e l’affiatamento.

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