Non una recensione. Un atto d'amore. di Marco Poletti
"I Simpson" sono eccezionali. O meglio, eccellenti (Mr.Burns dixit). Ma sì, perché negarlo, meglio di Kubrick e Welles, di Hitchcock e Chaplin, di quel trombone di Bergman e di quel toscanaccio di Monicelli. Prendete "Quarto Potere", è stato citato in tutte le sue parti in quasi tutte le puntate dei Simpson, e ora si potrebbe buttare nel cassonetto l'originale e rimontarlo con le citazioni simpsoniane. E perché, lo "Shining" di Kubrick rifatto in versione giallognola e irriverente non è forse superiore all'originale di Kubrickl che, detto onestamente, mi fa sorridere ogni volta in cui Jack Nicholson tenta di farci paura attraverso improbabili espressioni facciali più somiglianti a ictus e paresi più che a smorfie di terrore. E nonno Abe che rifà la danza dei panini chapliniana dalla "Febbre dell'oro" non è forse meglio del vetusto omettino con bombetta e bastone ormai superato da decenni di innovazioni tecniche? Ma vogliamo prendere la sequenza di "Intrigo Internazionale" in cui Cary Grant scappa a perdifiato dall'attacco di un biplano vecchio come il cucco con la stessa scena rifatta dai Simpson in cui a scappare è Marge e nella fuga gli viene tranciata mezza cofana di capelli? Ma no, molto meglio i Simpson che queste sciacquette hollywoodiane.
"I Simpson" sono straordinari perché citano, poi citano ancora, e infine ricitano. Ogni puntata della famiglia di Springfield è un citare qualcosa, film, libri, spettacoli teatrali. E hanno citato tutto, con la grande bravura di migliorare sempre ciò che citavano: "Tutti gli uomini del presidente", "Il fuggitivo", "Arancia Meccanica", "Il grande dittatore", "Gremlins", "Nightmare", "Ben Hur", "E.T.", "Il pianeta delle scimmie", "Karate Kid", "Guerre stellari", e poi ancora Fellini, Frank Capra, il diario di Bridget Jones, e i classici della letteratura. Basta, basta leggere l'Odissea a scuola con tutti quei versi antichi come il mondo, quei personaggi tanti superati quanto ridicoli (Omero? Tzé, un girovago a tempo perso; Penelope? Una santarellina inquieta), e allora via con la parodia, più bella e riuscita di qualsiasi volume omerico, con Boe che dopo avere girato per qualsiasi isola e avere incontrato le più strambe figure esistenti sulla Terra si chiede giustamente: "Ma possibile che abbiano piazzato qualche pazzoide su ogni isola?". Sacrosanta verità. E poi le parodie dell'Othello e di Amleto (e di quell'altro montato di Shakespeare), la biografia rivista e corretta di quel mostro di noia che fu Mozart, ma anche, più terra terra, la parodia di Batman e l'incredibile Hulk.
Anche la musica è stata per i Simpson una ghiotta occasione per dare libero sfogo alla creatività delle citazioni: in forma di cartoon sono apparsi accanto alla famiglia gialla Barry White, gli Aerosmith, gli U2, i Ramones, i Metallica, James Taylor, Eric Clapton, Mick Jagger, Keit Richards, Paul MacCartney, George Harrison, Ringo Starr, Michael Jackson, Madonna. Memorabile la puntata in cui si scopre dell'esistenza dei Re Acuti, parodia della carriera artistica dei Beatles, con Barney, l'amico di Homer, nei panni di John Lennon che se ne scappa con una giapponesina esilissima, dopo avere inciso l'ormai epocale "Addio mia bimba di Miami". E i politici, da George Bush padre (con cui Homer fa a cazzotti) a Bill Clinton nudo, da Ford a Kissinger. Tanto che, nel 1992, durante una seduta del Parlamento americano George Bush padre disse, agli americani, che i loro figli non sarebbero mai dovuti diventare come Bart Simpson. Il caso si ingigantì, e i Simpson diventarono un caso politico per quasi un anno. Fu lì, la loro definitiva consacrazione. Potevano osare tutto, senza limiti e senza censure. Come poi accadde.
"I Simpson" nascono dalla fantasia di quel genio (che andrebbe clonato) di Matt Groening, uno che ha rivoluzionato la storia della televisione, e poi oggi del cinema, più di quanto abbia fatto nel 1927 il passaggio dal muto al sonoro. Perché hanno rivoluzionato il modo di concepire il cartoon (da qui nascono tutti i vari "South Park", "Griffin", "American Dad", "Shrek") e da qui partono molte idee per filmoni hollywoodiani spesso baciati dalla fortuna dell'Oscar. Qualche esempio? "Forrest Gump" ha parecchi debiti nei confronti dei Simpson: un mezzo demente che attraversa la storia Americana senza nemmeno accorgersene. Un po' quello che ha fatto Homer per 18, ora 19, anni. Ma se ne potrebbero citare a migliaia.
L'impatto mediatico che ebbe questo cartoon sull'opinione pubblica fu devastante. In piena epoca di buonismo da "aiutiamo l'Africa perché ci sta tanto a cuore" (ricordate "We are the world"?) sentire un dialogo come questo: "Ma come possiamo dormire di notte pensando che in giro per il mondo ci sono fame e carestie"?, "Spegnendo la luce!", fece venire i brividi persino a Michael Jackson, che tanto uno stinco di santo non è. Perché lì, nella pacifica Springfield, sono racchiusi tutti i vizi e le virtù esistenti sul pianeta Terra. Una sorta di microcosmo apparentemente fantasioso, che è in realtà la nostra vita, la nostra società.
Ogni personaggio ha un proprio carattere ben delineato, c'è uno studio psicologico dietro a ogni personaggio che fa impallidire qualsiasi serie a cartoon precedente (pensate all'ingenuità dei Flinstones, che poi sono la fonte d'ispirazione della serie, pur con stravolgimenti cinici di grande efficacia). A partire dalla famiglia Simpson. Il capofamiglia Homer, padre indisponente e distratto, pensa più ai propri piaceri materiali che al bene della famiglia, disadattato cronico, non riesce a mettersi in pari col mondo, tanto da rifiutare la religione più per dispetto verso Dio che per convinzioni morali. E' il personaggio su cui si basa la serie, ed è il vero deus ex machina di tutto il cartoon, con tratti ed elementi tipici del miglior Groening: il divano, la birra, la televisione (che aiuta a fare crescere i figli, questo il suo ragionamento), la centrale nucleare, vero e proprio mostro che divora gli uomini e le loro vite. C'è un discorso di fondo, sul ruolo del lavoro drogato all'interno della società che non si era mai visto da nessuna parte. Il lavoro uccide l'uomo, non lo nobilita. Quelle sono sciocchezze.
Da Homer, si snodano una serie impressionante di personaggi, che spesso hanno fatto storia a sé. Marge, la moglie di Homer, premurosa, gentile, il cui unico vizio è il gioco d'azzardo, è il tipico esempio di "casalinga disperata", ben prima del noto serial televisivo. E' la madre americana tutta casa e famiglia, prona davanti alle ragioni religiose, incapace di odiare, tranne in alcuni rarissimi casi in cui esplode una rabbia consumata dal di dentro che le deforme addirittura il viso. Ed è Marge che si occupa dei 3 figli: Bart, anagramma di brat ("monello"), ribelle senza giusta causa, con echi james deaniani che spuntano fuori soprattutto quando vuole fare il bulletto con le moto e le macchine, giovane disadattato tanto quanto il padre, è il ragazzo d'America, imbottito e stordito da troppa televisione e troppo show-business. Adora il clown Krusty, un ebreo che litigò in gioventù col padre perché doveva diventare rabbino invece che clown, lavora con e per i bambini ma è cinico, cattivo, odia quella marmaglia picoletta che infesta i suoi show, in nome del denaro pubblicizzerebbe qualsiasi cosa, dai cereali scaduti allo sciroppo per la tosse avvelenato. Soffre di cuore, si è fatto installare un pacemaker e al posto della cicatrice gli è stata impiantata una cerniera lampo che, durante una diretta televisiva, si è inceppata facendolo cadere a terra quasi morente. Bart tutte queste cose le sa, ma quello è il suo mito, è il suo ideale di "adulto", perché nell'America con famiglie allo sfascio e senza più padri, anche il più inetto e ignobile degli uomini può sembrarti una brava persona.
Tutto il contrario di Lisa, giovane ecologista, sapientona, suonatrice di sax (l'ha suonato anche con Bill Clinton), anch'egli come il fratello disadattata, ma in questo caso nel senso opposto. Disadattata perché troppo intelligente. A scuola è vittima di ogni sopruso, ma è la felicità del Preside Skinner. Per non farci mancare nulla, il Preside Skinner è una parodia gustosissima del "Psycho" hithcockiano: un figlio (non naturale però, fasullo) che viene comandato a bacchetta da una madre (Agnés) anziana e dispotica, che si innamorerà dell'Uomo Fumetto, un ciccione quarantacinquenne vergine che ha, come unico scopo nella vita, passare le giornate sui siti porno e leggere i fumetti di fantascienza strafogandosi di schifezze ad alto tasso glicemico.
In questo pazzo mondo, le figure di contorno sono una miriade. E sono tutte funzionali al racconto. Dal dispotico Mr.Burns padrone della centrale nucleare, palese caricatura del fu Howard Hughes, al fido maggiordomo Smither, gay e puntualissimo nel servire il proprio padrone (che vorrebbe vedere uscire da una gigantesca torta di compleanno nudo attorniato soltanto da una fascia presidenziale), dai compagni di lavoro di Homer, Lenny e Karl (uno nero, l'altro bianco, come la coppia di "Arma Letale"), al giardiniere scozzese, ma in Italia è diventato chissà perché sardo, Willie. E poi il commissario Winchester, corrotto fino al midollo ma sempre fedele all'arma, fino ad un altro corrotto per eccellenza, il sindaco Quimby, analfabeta, donnaiolo, colluso con la mafia (quella gestita da Tony Ciccione, che fa il verso a Don Vito Corleone di coppoliana memoria), amante scatenato delle mazzette che si fa dare soprattutto da Boe il barista (solo, depresso, tendente al suicidio, in cerca di una donna, una qualsiasi, pur di non passare tutta la propria vita dietro al bancone del bar a servire ubriaconi di vario genere, tra cui Homer e Barney, il suo migliore amico, che strizza l'occhiolino al Barney Rabble dei "Flinstones"), e Apu, l'indiano proprietario del Jet Market, ladro e commerciante disonesto, che sul terrazzo floreale del proprio esercizio ospita, di tanto in tanto, qualche ex-Beatles. Per tacere di Ned Flanders, il religiosissimo e bigotissimo vicino di casa di Homer, incapace di qualsiasi reazione sfrontata (tranne qualche rarissimo caso) e assiduo frequentatore della Chiesa protestante di Springfield, "gestita" dal Reverendo Lovejoy, che di Bibbia sa poco, e preferisce dilettarsi nella costruzione (e nel funzionamento) di fantasiosi trenini elettrici.
Di contorno altri personaggi ancora, meno marcati a fuoco, ma classici esempi di "topos narrativo", personaggi cioè, che servono più come pretesto per innescare svariate situazioni comiche più che come reali personaggi su cui fare ruotare una storia. Il professor Frink, modellato sul personaggio di Jerry Lewis nelle "Folli notti del dottor Jerryll", il capitano della nave (mitico il suo intercalare "Argh!"), la madre di Marge e il padre di Homer che, durante una mitica puntata in cui veniva parodiato "Il Laureato" stavano quasi per sposarsi (in sottofondo, Simon & Garfunkel cantavano "The sound of Granpa"), la cuoca della scuola elementare Doris, i due bifolchi del paese Cletus e Brandine. Su le due sorelle di Marge, le fumatrici accanite Patty e Selma, si sono invece basate quasi sempre storie a sfondo matrimoniale. La solitudine che colpisce le due bruttissime zitelle in questione, è stato uno dei temi ricorrenti di molte puntate, fino ad esplodere (letteralmente) nella puntata in cui una delle due sposa il malefico Telespalla Bob, ex spalla di Krusty, finito in galera grazie all'interessamento nelle indagini da parte di Lisa e, soprattutto, Bart. Ogni qualvolta esce di galera, gode nel progettare piani per uccidere Bart, ma i suoi piani falliscono sempre miseramente. Telespalla Bob è stato sostituito dall'efebico Telespalla Mel.
Dopo 81 premi vinti, record per essere la serie Tv più longeva di sempre (il Time l'ha definita la "serie migliore del secolo"), essersi beccati una stella celebrativa sul Walk of Fame (quindi, essendo a tutti gli effetti degli attori, se vi chiedono qual è il più grande attore di sempre non vi rimane scelta che rispondere Homer Simpson), avere inventato modi di dire divenuti col tempo più famosi dei vecchi e obsoleti proverbi nostrani (il tipico D'oh homeriano è entrato addirittura nell'English Oxford Dictionary), e il termine homerata è ormai di uso comune tanto che possono usarlo benissimo anche i bimbi nei temi a scuola senza che la maestra possa depennare nulla, dopo una serie di puntate in cui si è parlato di tutto (omosessualità, sessuofobia, scuola, politica, società, lavoro, sanità, ben prima di quel panzone di Michael Moore, televisione, musica, cultura, Vita, Morte, filosofia new age, corruzione), la serie è finalmente diventata un film. Noi però, vecchi fans, sapevamo già che ciò un bel dì sarebbe accaduto. Per l'esattezza, lo sapevamo dal 1993, dopo aver visto quella mitica puntata in cui lo show televisivo più visto a Springfield, "Grattachecca & Fichetto", diventò un film. In qualche modo, quella puntata fu premonitrice di qualcosa, fu la molla che accese la luce e la speranza di noi che seguivamo stagione per stagione, minuto per minuto, tutta la serie. E avevamo ragione. Eccoci qui oggi, a commentare questo meraviglioso film, costato 65 milioni di dollari e 15 anni di fatiche, dopo avere scritto e riscritto, stracciato e ristracciato la bellezza di ben 158 sceneggiature! Anche questo, è un altro record.
"The Simpson Movie" è il film dei Simpson. E' il loro, e insieme anche il nostro. Il nostro perché lo abbiamo aspettato a lungo, e ne siamo rimasti soddisfatti. Soddisfatti perché questo è un meraviglioso film, straboccante di gag di purissima lucentezza, situazioni al limite del paradosso e cattiveria sociale e cinico punto di vista sulla finestra della realtà. La satira dei Simpson non è mai sbracata o banale come può essere quella dei Griffin, è sottile, per capirla bisogna concentrarsi senza sosta, senza perdere nemmeno un particolare di ciò che accade sullo schermo. E anche il film ne è un esempio lampante, anzi, ne è l'esempio lampante.
Tutto avviene quando quel pasticcione di Homer decide di gettare gli escrementi del suo prezioso maiale nel laghetto di Springfield, contaminando tutta la città. Il presidente degli Stati Uniti (chi? George Bush figlio? Macchè! Al limite Arnold Schwarzenegger!) decide di isolare Springfield sotto una campana di vetro. Non dico altro, dico solo che il film va visto. Perché nei Simpson la trama è poca roba, è la cosa più inutile, a contare sono le gag e le intuizioni visive, il modo di costruire la risata attraverso felicissimi spunti di narrazione, partendo dal basso per giungere, come una furia, al culmine, alla vetta, all'empatia classicheggiante. Come non è mai successo a nessuno.
Ho tralasciato, volutamente, l'aspetto tecnico. Ma non va assolutamente messo in secondo piano. Nella serie esistono sequenze tecnicamente eccezionali, a volte quasi sperimentali, roba che nessuno (neanche in un film con attori in carne e ossa) aveva mai provato. Scene registiche azzardatissime, movimenti di camera fuori dagli schemi, profondità di campo che anche Orson Welles se la sognava (altro che "Orgoglio degli Amberson"!). Però è un cartone animato, e allora lo si snobba. Ma è anche da queste genialate tecniche che molti registi contemporanei si sono ispirati per i loro film, curandosi bene di non citare mai la fonte di provenienza della loro ispirazione. Magari prendendosi appellativi come "genio", ma di geniale, questi signori, hanno ben poco. Qualche nome? Certo, come no! Steven Spielberg, Quentin Tarantino, Roman Polanski, Tim Burton. Dal 1989 in poi, le innovazioni tecniche più geniali dei Simpson se le sono scippate questi 4 pasqualotti senza dire niente a nessuno. E non solo loro! L'elenco però, sarebbe lunghissimo e noiosissimo.
In "The Simpson Movie" la scena più grandiosa è la folla che con torce e forconi vuole andare a conciare la pelle a Homer (anche qui eccovi servita la citazione, da "Frankenstein" del 1931 di James Whale. Vedete, è semplice lasciarsele sfuggire, bisogna avere una cultura cinematografica quasi sterminata, altrimenti si perde il 60% del film). Tecnicamente questa sequenza è straordinaria, perché scava all'interno della folla utilizzando un lungo carrello in avanti a scendere fino a formare una sorta di gigantesca macchia non ben identificata. E' eccezionale come la macchina da presa riesca a viaggiare attraverso i corpi della folla, per diventare infine un "unicum" di grande impatto visivo.
Poi naturalmente contano le solite genialate che sono presenti in ogni sequenza (chi non le vede ahimè, si merita i Griffin!), e molte cose, ne sono certo, passeranno alla storia. A partire dal "Spider Pork", che fa letteralmente sganasciare dalle risate, per arrivare all'Harry Porker. Per non parlare dell'inizio, in cui Homer ci chiede perché diavolo siamo al cinema al posto di essere fuori a fare due passi? E' un modo per creare la comicità, partendo anche dal quell'autoironia che hanno sempre avuto, verso loro stessi, gli autori. Si sono sempre presi in giro, nessun altro cartone l'ha mai fatto, e lo stesso Groening si è messo più di una volta sulla berlina. Senza però, perdere di vista la grande missione della satira. Come? Semplice, prendendo in giro il sistema ecologista americano, i presidenti inetti degli Stati Uniti, e un finale sì buonista. Perché buonista non è né un offesa né un difetto, è solo un modo per essere originali. In un epoca in cui quasi tutti i film devono essere violenti e crudi per fare piacere a tutti i ragazzetti sparsi per il mondo che amano il sangue, l'horror e altre baggianate simili, eccovi il finale buonista. E che diamine, ci vuole anche un po' di coraggio. O no?
Inutile dire che ormai Homer e i Simpson in genere sono una istituzione, che la serie prosegue senza intoppi da quasi 20 anni, e che, si spera, possa proseguire per altri 40, con la speranza che gli autori lascino perdere quella esigua minoranza che va dicendo che le ultime serie sono peggio delle prime (ma sì, si godano il loro Peter Griffin o South Park, di questi ce ne siamo già scordati tutti, tranne questi signorotti), a noi fans, e siamo tantissimi sparsi per il mondo (il 70% di quelli che si proclamano fans di qualcosa), ci va bene così. Perché anche oggi l'ironia dei Simpson è più viva che mai, forte e mai volgare, pacata, garbata, come un sorriso di Homer Simpson o la voce roca ma dolce di Marge.
Concludo ringraziando tutti coloro che hanno fatto sì che i Simpson siano migliori di quello che già di per loro sono. Parlo dei doppiatori. Tanto bistrattati, ma mai così bravi. Dal grande Tonino Accolla (voce di Homer), alla ex-signora Pina Fantozzi Liù Bosisio (voce di Marge), Ilaria Stagni (Bart), Monica Ward, sorella di Luca (Lisa), Teo Bèllia, voce di Boe e che vent'anni fa dava la voce al Michael J.Fox di "Ritorno al futuro" e a tutti quelli che non ho citato per non diventare più barboso di quanto non sia già di mio.
Peccato che Homer sia solo un cartone, ormai è come se fosse uno di noi. Anzi, sapete che vi dico, "The Simpson Movie" è il miglior film di sempre. Al diavolo Orson Welles, "Quarto potere" gli sta sotto.
Questa non è una recensione. Forse è un excursus storico. O forse è semplicemente una mia riflessione non parlata bensì scritta. Di sicuro è un atto d'amore. Con loro ci sono nato, cullato e cresciuto. Con loro voglio morirci. Per cui Matt, quando decidi di chiudere baracca e burattini, avvisami in anticipo. Ok?Carico i commenti... con calma