Universi paralleli, linee del tempo, pervasività della tecnologia e la sana vecchia follia, unita a qualche sostanza psicotropa: è uscito oggi su Netflix Bandersnatch, nuovo episodio di Black Mirror, annunciato come primo film interattivo lanciato sulla piattaforma di streaming e forse anticipatore di una nuova evoluzione della serie distopica di Charlie Brooker.
1975. Stefan è un giovane programmatore che da bambino ha subito la perdita della madre, evento che non ha ancora superato e per cui segue cure farmacologiche e psicoterapeutiche; sta lavorando alla trasposizione in videogame di un romanzo di Jerome F Davies, Bandersnatch, il cui autore è celebre anche per aver ucciso la moglie in preda a follie allucinatorie: Davies infatti era arrivato a pensare che le sue scelte erano ininfluenti perché tutto era già stato deciso.
Allo stesso modo, in Bandersnatch (film) lo spettatore è chiamato dall’interfaccia a decidere delle azioni compiute da Stefan. All’inizio sono scelte minime, apparentemente irrilevanti, come quali cereali mangerà per colazione o quale disco comprerà, poi eventi sempre più importanti, scelte che influenzano radicalmente lo sviluppo della storia. Come in un videogioco, non si può tornare indietro: la classica timeline di Netflix è scomparsa, così che non puoi vedere quanti minuti sono trascorsi o quanti ne mancano al finale perché il finale dipende dalle scelte che compi tu nel corso del gioco.
Ma in realtà il finale è tutt’altro che libero o aperto: ci sono diversi finali possibili, diverse combinazioni, ma come in un labirinto, le uscite sono solo quelle preesistenti. Ad un certo punto mi sono trovata ingarbugliata, smaniosa di far finire il gioco per arrivare al finale che volevo, e a cui pensavo che le scelte che avevo fatto alla fine avrebbero portato. A questo punto sorge spontaneo il dubbio: "sono io a fare le scelte sbagliate o qualsiasi scelta io faccia il risultato è comunque lo stesso?". Secondo me questa è un po’ una domanda generica e universale sul libero arbitrio, che nel campo della tecnologia trova una metafora sicuramente più persuasiva: il protagonista è manipolato dal giocatore che a sua volta è manipolato da chi ha sviluppato il gioco, preimpostando le decisioni possibili o magari anche prevedendo quale sarebbero state quelle più comuni. Non manca un richiamo diretto a questo concetto nel fatto che Stefan sia proprio uno sviluppatore di videogiochi e si accorga di essere manipolato, come se le scelte che sta facendo siano guidate da qualcun altro e non manca un richiamo diretto all’illusione di libero arbitrio proprio da parte di Netflix stesso, che, in un appello diretto di Stefan allo spettatore/manipolatore, si palesa autodefinendosi come "piattaforma di streaming del futuro"; in questo caso Netflix si sovrappone alla tua scelta perché qualsiasi delle due opzioni tu scelga dovrai comunque leggerti la sua breve tirata autoreferenziale, che avrebbe potuto benissimo risparmiarsi; ma andando avanti il metatelevisivo aumenta ancora, rompendo ulteriormente la quarta parete: veniamo catapultati sul set del film, e tutto diventa ancora più palesemente una dichiarazione aperta di una finzione di cui noi abbiamo l’illusione del controllo.
Diversi anni fa una miniserie in televisione aveva proposto una cosa del genere: verso la fine della puntata uno degli attori chiedeva al pubblico di decidere tramite televoto che scelta dovesse fare, c’era la pubblicità e dopo riprendeva comunicando che cosa avevamo deciso per lui: in base a quello ovviamente la storia si evolveva in un senso o nell’altro. Il film all’epoca si basava sul televoto, che oggi suona come una forma di interattività da prima serata della Mediaset – cioè proprio come quello che è – ma il gioco fatto da Bandersnatch è simile: sfrutta la novità che l’idea di film interattivo richiama ma anche la fama ormai consolidata sia di Black Mirror che di Netflix , riconfermando la fidelizzazione dello spettatore ma anche la sua curiosità. Allo stesso tempo si pone un obiettivo più alto, quello di risvegliare la coscienza critica dello spettatore, consumatore, abitante della società di questo secolo e delle sue contraddizioni. L’interattività di Bandersnatch vuole essere quindi autocritica forse, o quanto meno stimolare una riflessione, come tutte gli altri episodi di Black Mirror, sul confine sottile fra reale e virtuale, ma più in senso lato sul rapporto con le tecnologie. Lo fa attraverso un gioco, forse per alcuni un giochetto, che a me è piaciuto, che mi ha trasmesso il senso di angoscia, di impotenza, di divertimento anche, ma allo stesso tempo mi rendo conto di essere vittima di quello stesso sistema: Netflix, che, come Google e quant’altro, monitora i tuoi gusti, interessi, ricerche e allo stesso tempo ti dice chiaramente che tutto quello che scegli non è una scelta vera, ma solo un’illusione di scelta, ma questo, è "l’intrattenimento del futuro", no, del presente.
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