Questo, signori, è un grande album. Si passa dai ritmi ispanici al blues in nel giro di una canzone, si arriva al Lago di Como passando dal Mississippi, e ci si tuffa nell’acqua dolce, cardine e motore di tutto il disco. È il lago stesso, prigione dorata, luogo di fantasmi e nonne streghe, che canta, e canta nella sua lingua, il laghèe. Davide Van de Sfroos sfiora la perfezione, e non delude mai. Canta le storie dei fantasmi, dei corvi, delle barche prese in prestito dalle streghe, delle macabre leggende che si tuffano nell’Akuaduulza. L’incipit trascinante di “Madame Falena” ha del genio sotto, e ha un verso che mi fa impazzire, per descrivere un colpo di fucile e la morte del bersaglio: “un tempuraal de un segund e mezz, e un boecc in un bel vestì”, sarebbe a dire “un temporale di un secondo e mezzo e un buco in un bel vestito”. Una black-ballad come solo Davide sa fare. Poi parte una di quelle canzoni che si ascoltano per sentire come va finire, un romanzo di cinque minuti, un bluesaccio con l’armonica e una storia da bordello Americano, “The scorpio’s Paradise”, solo che siamo a Como, allora è “El Paradis del scurpion”, ed è il secondo capolavoro.
Altro blues è la laica preghiera (“fa mea scapà i nos fantasmi, senza de lùur semm pioe chi semm”, non far scappare i nostri fantasmi, senza di loro non sappiamo più chi siamo) di “Caramadona”, altra grande canzone. E siamo all’ode al lago di Como, siamo al violino di “Akuaduulza”, title-track e capolavoro assoluto. Non ci sono parole per descriverla, bisogna solo ascoltarla.
Divertente “El fantasma del ziu Gaetann”, fatica a catturare l’attenzione “Il libro del Mago”. Peccato, perché il testo è veramente ben costruito. Il secondo pezzo tutto in lingua italiana del canzoniere di Van De Sfroos convince: è la curiosa, cupa filastrocca “Shymmtakula”, notturna (la civetta guarda sguardi/anche dietro le sue spalle/i serpenti non le hanno ma sbottonano la pelle) e veramente bella. Il country di “Nona Lucia” scatena i balli nei live e alleggerisce la tensione del disco, ma anche questa ha un tono molto “dark”. La successiva “Preghiera delle quattro foglie” non è un capolavoro ma ben si difende e ben si inserisce nel contesto del disco. Il tempo di dire “questa forse non era un granché” che attacca “Fendìn”. Questa è veramente stratosferica, l’ennesima black-ballad del disco, che parla di un pescatore molto tirchio che non porta la sua barca a benedire e diventa luogo di ritrovo per sette streghe. Capolavoro, sia poeticamente che melodicamente (la linea “la barca te l’eet mea purtada a al benedizion” è da brividi).
Ancora in italiano è “Il corvo”, buon pezzo. “Rosa Nera” è un’ode alla chitarra, molto dylanesco, che serve al Davide per rispondere alle accuse di suonare alle feste della Lega e di AN: “abbiam deciso di suonare senza pesare le persone, solo chi spara a una chitarra non ha diritto a una canzone”. Grande canzone anche “El Baròn” e capolavoro la chiusa chitarra-voce di “Il prigioniero e la tramontanta”.
Disco del 2005, questo “Akuaduulza”: Scuro, immaginifico, divertente, orchestrato alla perfezione e poeticissimo.
Carico i commenti... con calma