Le storie del Lago, i suoi personaggi, le piccole gioie ed i dolori della gente del Lario sono fonte d’ispirazione infinita per chi ha la passione di raccontarle, attraverso libri o con la chitarra in mano. Ma questa volta Davide Van De Sfroos lascia per un momento i Mario Musca e gli Orzowey e mette a disposizione il dialetto lagheé della sua Tremezzo (nelle citazioni utilizzerò la traduzione del libretto, comunque) per un’opera di ben altro tema, quello dei primi capitoli dell’Antico Testamento. Niente melodramma religioso, comunque. Anzi…

Pubblicato per la “Tarantanius” nel 1999, il risultato è una gustosissima ed ironica rivisitazione di tre momenti successivi alla creazione. Trattasi, a scanso di equivoci, di mini album (perdonate se uso ancora la parola album, sa di antico e di buono, almeno per chi lo merita): tre le tracce, per comunque 21 minuti di buona musica, almeno da giustificare la spesa (non proprio mini, a dire il vero).
Il primo atto, “La poma” , narra della arci-nota storia di Adamo ed Eva dalle tentazioni del serpente fino alla cacciata dal Paradiso dopo il morso della mela. Ad un intro di chitarra che accompagna i primi versi sarcasticamente profetici (“Adamo sotto la pianta voleva far pipì, vacca che spavento, gli salta fuori una biscia”) ed il dialogo tra una più prudente Eva che però per curiosità cede alle tentazioni della serpe (“Mangiatela tutt’e due, non vi succede nulla perché [il Signore] vi prende per il culo”) segue un apertura musicale, dove il ritmo dettato dalla batteria (forse lievemente monotona) incornicia l’evolversi dei fatti, fino al tragicomico assaggio (“La che fa schifo, c’è dentro pure il verme, e Adamo ed Eva cominciano a darsi botte…”); è tempo per le risa della serpe, per l’incazzatura dell’angelo e per lo sconforto del Signore che relega i due “rimbambiti” alla Terra, luogo per guerre e ladri: “E Adamo ed Eva, sia lei che lui, se ne vanno dal Paradiso a pedate nel… ” con il fischio di pietà che chiude questa prima traccia.
Sulla Terra, i due danno alla luce due fratelli alquanto diversi, e “Caino e Abele” è la rappresentazione di questa dualità. Legata dal filo conduttore della bellissima fisarmonica di Billa The Kid, la quale apre spesso in brani pastorali dal vago sentore celtico, la canzone mette in luce le differenze tra i due fratelli in qualsiasi campo della loro vita, dalle abitudini elementari (Abele che in forma vive di uva e di un pezzo di pane, Caino che “mangiava come un lupo… e vacca se beveva!!”) alle ben poco bibliche attitudini calcistiche (“Abele palleggiava che sembrava il Ronaldo, Caino sembrava il fratello di Braccobaldo!” – mi rendo conto che la traduzione non rende giustizia ai bellissimi testi, ma tant’ è). Il dissapore cresce (“Siamo al mondo in due, e uno mi sta sulle palle!”) e culmina in una variazione indolore dell’ omicidio, con la dipartita di Caino che lascia il fratello in compagnia di una vergogna secondo lui ingiustificata.

Ma è già pioggia, giusto il tempo di avvertire Noè in quello che è il brano più divertente dei tre, ”Il diluvio universale”. Il povero Noè, incredulo (“forse il mondo era sporco e voleva lavarlo… o forse, come a tutti, un giorno gli sono girate le balle”), corre in cantiere a preparare il battello, tra le molte proteste degli animali che iniziano a radunarsi: e mentre la zanzara pensa a tamponare il pipistrello, la gallina si mette a baciare il lavarello. Mentre il tema ancora una volta celtico nell’intro, poi acustico, dilaga in un crescendo strumentale che a me ricorda un jazz/blues, la fede del Noè, già affetto da reumatismi ancor prima di partenza vacilla (“E ho anche capito chi è il più coglione: [… ] in mezzo a mille bestie senza nemmeno l’ ombra delle donne!”) ma resiste, nonostante le difficili condizioni (“Vi ho detto che il mandrillo non lo voglio dietro le spalle!”). Ed alla fine l’arrivo della colomba con l’ulivo (ma c’è l’equipaggio che vuole l’aperitivo, a dire il vero…) pone fine a questa impresa… biblica.

È un’ opera ironica, quindi in nessun modo il Bernasconi vuole mancare di rispetto, semplicemente va presa per quello che è. E, a mio parere, è opera notevole per i tempi che corrono… Sia chiaro, il valore di Davide è dimostrato nei suoli libri e nei suoi bellissimi album (tra i migliori, “Manicomi” e “Brèva e Tivan”), ma questo è senza dubbio un gradevolissimo divertissement che, da buon comasco, m’andava di commentare. Tutto qui.

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