Non amo i "best of", ed in special modo le antologie miscellanee. Quest'eccezione (essendo così insigne) conferma la regola.
I Dead Can Dance non hanno bisogno di presentazioni, né basterebbe un enciclopedia per delinearne il profilo artistico o riassumerne l'importanza. La loro carriera e la galleria di produzioni che la caratterizzano sono tutt'oggi l'esempio più compiuto di contaminazione e sperimentalismo musicale, nel nobile (e riuscito) tentativo di rendere la prospettiva contemporanea (direi "pop"ular) più vicina a quella colta (o classica, o orchestrale che dir si voglia), a quella etnica (o folk), a quella orientale. Il tutto condito da un citazionismo d'eccellenza, con riferimenti alla letteratura classica e contemporanea, alla poesia e, su tutto, all'antropologia.
Ma passiamo all'opera (doppio cd, 26 tracce) in esame, e, soprattutto, alla musica che serba. Il primo elemento che è opportuno notare, e che forse si caratterizza come l'unica anomalia, è la mancanza di brani tratti dal primo album, quasi a disconoscerne l'importanza e l'influenza (nonostante si tratti del capolavoro della "seconda" dark-wave, più raffinata e meno mutuata da certo post-punk). Per il resto, al di là di preferenze legate al gusto personale, la scelta è ineccepibile, a mio avviso.
Questi i titoli scelti di comune accordo tra Lisa Gerrard e Brendan Perry, compositori, interpreti, nonché unici membri della band, oggi sciaguratamente non più attiva:
Disc 1
Frontier
Anywhere Out Of The World
Enigma Of The Absolute
Carnival Of Light
In Power We Entrust The Love Advocated
Summoning Of The Muse
Windfall
In The Kingdom Of The Blind The One-Eyed Are Kings
The Host Of Seraphim
Bird American
Cantara
Severance
Saltarello
Black Sun
Disc 2
Yulunga
The Carnival Is Over
The Lotus Eaters
Rakim
The uniquitous Mr. Lovegrove
Sanvean
Song Of The Nile
The Spider's Stratagem
I Can See Now
American Dreaming
Nierika
How Fortunate The Man With None
Risulta palese l'elemento propedeutico, poiché tutti gli album (tranne il primo) sono rappresentati da almeno due brani, anche se masterpieces come "Into The Labyrinth" e "The Serpent's Egg" ne contano più degli altri.
Durante l'ascolto si resta dunque sorpresi dal sovrapporsi e dal cangiare dei toni, degli stili, delle scelte musicali in genere, a volte oscure ("In Power We Entrust. . . ") , altre più ariose e sacrali ("The Host Of Seraphim", "Yulunga"), altre ancora allegre e "ballabili" ("Saltarello", "The Ubiquitous Mr. Lovegrove"), vagamente facete ("Severance", riproposta anche dai Bauhaus), oppure solenni ("How Fortunate The Man With None", da un'immortale poesia di B. Brecth).
Il tutto, inutile dirlo, contraddistinto dalla proverbiale perizia tecnica, dal noto gusto per strumenti esotici e dall'altrettanto celebre ricerca compositiva, che permette ai Dead Can Dance di spostarsi dai lidi della musica antica e medievale a danze popolari, ad episodi di vero e proprio cantautorato ("American Dreaming"). Non si facciano tuttavia facili paragoni con la l'eclettismo a volte sterile della World Music, né con l'eterogeneità fine a se stessa di alcune proposte neoclassiche ed orchestrali (roba come gli Era, per intenderci), quello dei nostri artisti australiani è il connubio pressoché perfetto tra ricerca ed arte, con un occhio di riguardo alla musica "altra", e dunque (ma non solo, naturalmente) araba, indiana, ed orientale in genere.
Del resto, ascoltando un'opera per certi versi maestosa (due ore di musica) come questa, oltre al piacere immediato dell'ascolto, si gode anche nel ricercare una similarità a volte arbitraria, e perciò personalissima: echi di Stravinsky e Tangerine Dream, Cocteau Twins, tribalismi Bantu e De André... Un vero calderone, da cui ognuno, a suo piacimento, cava fuori quel che, più o meno legittimamente, trova. Più che una semplice raccolta, un cesto di primizie che celebra un gruppo di seminale importanza.
Consigliato particolarmente a chi, i Dead Can Dance, non li conosce, ma pensa che la musica non sia soltanto il pedissequo seguirsi di schitarrate sempre uguali o l'ipnotico martellare di un sintetizzatore in una discoteca; anche se, dopotutto, anche i morti possono ballare...
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