Siate sinceri. Da quanto tempo non ascoltate un cd dalla prima all’ultima nota? Sia chiaro, citare "Song For The Deaf" non vale. È un album già troppo vecchio. Rimanete negli ultimi due anni. La fretta è mala consigliera, pertanto andare avanti a leggere può essere un bell’aiuto. Non bisogna andare neanche troppo lontano. Siamo su un’isola, né troppo caraibica, né troppo deserta. Siamo in Scozia.

A partire da "Russian Doll" i Dead Fly Buchowski mettono in chiaro di non essere british. Di non bere té, ma di preferire una Fisherman’s Friends accompagnata da un bicchiere di acqua fredda. Come avere un iceberg in gola. Le linee di basso sanguinano, mentre l’anima del blues si accompagna a una batteria suonata da ossa di montone.

Qualcuno ha pisciato fuori parlando della risposta scozzese ai White Stripes, qualcun altro per pisciare si è seduto e li ha paragonati ai Pearl Jam. Vero è che i riff di "Didn’t Hear You Right" hanno qualcosa a che vedere con la chittarra di McReady, ma non siamo ancora arrivati in fondo. Lo spirito blues di questo quartetto, l’esoterismo della voce di Roddy Campell, le atmosfere cupe, il thrilling di chitarre che suonano in un limbo. Sul carro dei DFB ci sono Mark Lanegan e i QOTSA. Ascoltate "Anyway" e provate il contrario. Manca qualcosa. Non possiamo ancora gridare: Terra!, Terra!. "The Way She Goes" è solo un altro indizio, "Blacker Than Blue" è la nebbia che si dirada. E poi arriva "Ground Nero"; la speranza torna sottocoperta, dove gli odori sono così forti che vorreste essere morti. Poi, in zona cesarini, un barile si spalanca e un raggio di sole ti prende dritto in faccia. All’inizio fa male, e piccoli serpenti argentei ti circondano la testa. Barcolli. Finalmente tutto si fa nero. Tutto si fa Black. Tutto si fa Black + Sabbath. Cioè Black Sabbath. E’ "Sun Song". Le bionde trecce, gli occhi azzurri e poi... la cantina buia dove noi, senza i tuoi.

Amen.

Carico i commenti...  con calma