Slowmotional, furie ordinate e battiti rallentati.

Come perdere sangue a fiotti da una gamba e trascinare passi nel sole della foresta cercando i soccorsi senza urlare.

Alla quinta prova quei morbosi farabutti dei Dead Meadow piazzano il disco che serve loro a dire: "Ok ci siamo sbrodolati già tutta la marmellata, dal vivo siamo delle fruste (ascoltate le esorbitanti Peel Sessions per credere) e adesso, solo adesso, iniziamo a scrivere canzoni". Canzoni splendide direi, sorrette da una voce dormiente e manciate di midtempos sinuosi, hard-folk arabescati intorno alle cose scure degli anni '70; echi, riverberi, mellotron e chitarre acustiche all'ombra di una psichedelia inquinata e bastarda, figlia dei Love e concubina dei Sabbath.

Quando spingono hanno l'incedere bruciante dei primi Cream e la posa dei Jefferson Airplane nel dilatare i tempi, quando staccano la spina ricordano i Led Zeppelin in versione campagnola che sta bene (chissà come) col sapore del sale dei Beach Boys.

Poi ti ricordi che sono i Dead Meadow e che è un disco che sta bene solo con se stesso.

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