Il gorgoglio delle onde oceaniche, lieve ed invincibile, porta con sè qualcosa di indefinito, forse un relitto, forse le ombre dei lebbrosi di "Fog", una bottiglia con annesso messagge in a bottle. La tensione aumenta ma si placa repentinamente. Sale il sipario del teatro per l'inizio del terzo atto; direttamente dai flutti del mare irrompe il suono thrashy violento e ritmato, un'urlo in sottofondo e partono i 20 secondi più violenti di tutto il disco: heavy metal in ebolizione con rullate e riff a mitraglia, che non lasciano scampo. La canzone "Seemingly Endless Time" è il biglietto da visita dell'album.
Loro sono i Death Angel, band thrash metal di Frisco. Questi cinque cugini di origine filippina mettono in circolazione il primo demotape "Heavy Metal Insanity" già nel 1983 (non c'è ancora il singer Mark Osegueda) e, con l'aiuto di Kirk Hammett dei Metallica, pubblicano il loro secondo demo "Kill As One" nel 1986. Dopo aver esordito con l'entusiasmante "The Ultra-Violence", album di thrash tecnico e veloce, ben prodotto ed infarcito di prelibatezze strumentali non avvertibili ad un primo ascolto distratto, approdano al terzo full-lenght "Act III" nell'aprile del 1990, sotto l'egida della Geffen Records, passando attraverso il variegato "Frolic Through The Park" del 1988.
"Act III" è l'album della consacrazione, caratterizzato da un suono thrash così rifinito, che sembra impossibile catalogarlo tale. Questo non è thrash scatenato, hardcorizzato o rockeggiato, ma thrash ragionato, devastante, ricco di soluzioni melodiche, cambi di tempo, parti vocali grintose e delicate, a cura del singer Mark Osegueda. Se l'esordio "The Ulta-Violence" poneva l'accento sulla velocità ad alto tasso tecnico, ed il follow up "Frolic Through The Park" evidenziava un a certa sperimentazione e contaminazione con vari generi (vedi il thrash-funk di "Bored"), questo "Act III" rimescola ancora una volta le carte e punta tutto sulla grande varietà compositiva, evidenziata da delicate ballate semiacustiche come "A Room With A View", pregna di voci corali dalla forte emotività, e la delicata "Veil Of Deception". Quest'ultima sarebbe stata un commento sonoro azzeccato per il vecchio film di Bruce Lee "L'Urlo di Chen Terrorizza Anche L'Occidente", sulle vicissitudini del ristorante di Chen Ching Hua a Roma, adocchiato dalla mafia locale, in quanto le voci si avvertono lievi e malinconiche. Si pensa istantaneamente agli sguardi fieri dei cinque thrashers nel retro copertina di "The Ultra-Violence".
I chitarristi Gus Pepa e Rob Cavestany (il cervello della band) dialogano alla perfezione, soprattutto quest'ultimo riesce ad estrarre dalla sei corde assoli dalla struttura anche blueseggiante, mai folli o stridenti, ma ponderati, piazzati con cura nei brani. I fraseggi si susseguono senza sosta, come ad esempio in "Stop" che è come un viaggio sulle montagne russe , dall'incipit travolgente: rullate, refrain memorizzabile, chitarre che incedono come un esercito di Predator scatenati. Cavestany non sa più che giochetti inventare durante le strofe. Cambio di tempo e polche di distorsioni, sonorità che ripassano tutta la storia dell'heavy metal così come l'accelerazione di Galeon che non chiede altro che essere seguita. Ecco il thrash che sale nell'alto dei cieli, quello che rifiuta la velocità a tutti i costi, quello che accoglie l'armonia e la fonde con riff energetici, quello che coniuga il virtuosismo strumentale con l'irruenza del riff diretto (a questo proposito vengono in mente i Megadeth del terremotante e variegato "Rust In Peace", oppure i coraggiosi Re-Animator dello sperimentale "Laughing"). Una menzione speciale per la voce di Mark Osegueda mai stridula o in falsetto, sempre ben inserita nelle canzoni, sostenuta scaltramente dalle backing vocals degli altri componenti del gruppo, senz'altro affiatati. Qui non cè un'istante di cedimento. "The Organization" (nome del futuro gruppo che creeranno i Death Angel dopo l'abbandono di Mark Osegueda) è un esempio di fermate e ripartenze, parcheggi di ritmica e schizzi di sollos distorti sottolineati dall'eccellente produzione di Max Norman e dal grande lavoro di batteria del mai troppo apprezzato Andy Galeon, che assieme al bassista Dennis Pepa forma un tandem ritmico tra i migliori di quegli anni.
Il thrash dei Death Angel muta pelle ancora una volta nella funkeggiante "Discontinued", dal basso slappato e dalle scorribande ritmiche dei quattro strumentisti, che rivelano qui l'entusiasmo di aver trovato la loro vera dimensione. Ancora una volta le voci corali dialogano con Mark alla perfezione, non c'è limitazione di tempo o spazio dove ascoltare questa musica, in quanto le chitarre e la gamma dei suoni prodotti fanno risaltare qualsiasi nostra emozione. Al bar, al centro commerciale, passeggiando al parco ci capita di avere in testa una melodia qualunque, che non riusciamo più a scacciare; ecco, potrebbe essere l'evocativa "Stagnant" dall'andamento arrembante e cadenzato ("never moving never changing"). Dopo essere stati spericolata per tutto l'album, la band rifiata con "Ex-Tc", una canzone buona ma non irresistibile che precede la sfuriata thrash "Disturbing The Peace" un pò autocelebrativa, ma comprendiamo che è impossibile mantenere un livello compositivo stellare per 10 pezzi. La nenia iniziale della decima traccia "Falling Asleep" chiude un disco in maniera veramente decisa: thrash che mostra i muscoli, quasi a ricordare che i Death Angel sono una band dalle solidi radici metal.
La band partecipa all'epopea del thrash senza compiacimento, senza mascotte, priva di slogan politici. Il loro impegno è nella musica, nella ricerca compositiva. Non sono pionieri ma il loro sound e la tecnica strumentale avevano indicato una nuova via al movimento thrash, percorsa pure dai Forbidden e dagli Heathen con principi diversi, ma sempre nel segno dell'abilità compositiva.
"Act III" è un album senza tempo, mai banale negli arrangiamenti, con almeno 7 pezzi di altissimo livello, frutto dell'entusiasmo di cinque ragazzi che nel giro di tre anni suonano quello che band impiegano 20 anni di carriera per confezionare. Dopo questo disco il singer Mark Osegueda abbandona la band, che si riorganizza sotto il monicker The Organization con Rob Cavestany alla voce. Un'altra incredibile storia da raccontare.
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