Les Joyaux de la Princesse, entità sconosciuta ai più, è in verità un qualcosa che procede da lontano, un qualcosa che affonda le radici nell'anno 1986 e che vanta lo status di autentica band di culto nel vasto bacino industriale europeo.

La (pur scarsa) notorietà dell'ensemble francese al di fuori dei patri confini è dovuta, tuttavia, non tanto all'abilità ed alla preparazione tecnica di Erik Konofal (spregiudicato manipolatore di suoni; pioniere, in un certo senso, di un'avanguardia industriale che sa coniugare con efficacia tappeti ambientali, collage rumoristici ed arrangiamenti neoclassici), bensì ad una serie di nobili collaborazioni con nomi illustri della scena apocalittica.

Fra queste va di certo menzionata la collaborazione con i Death in June di Douglas P: "Ostenbraun", frutto di una serie di sessioni svoltesi fra il 1988 ed il 1989, costituisce una vera chicca per i più avidi divoratori dell'arte della Morte in Giugno, dato che l'opera è "inesistente", nel senso che non è stata all'epoca neppure stampata e distribuita, ed ancora oggi circola in formato di cassette e CDR! (Nel '95, in verità, l'opera verrà stampata in tiratura ultra-limitata, in un box-cd di sole 3000 copie.)

Di Death in June, in verità, c'è ben poco in "Ostenbraun", essendo l'opera improntata principalmente sull'evocativo industrial marziale di Konofal, elegante anticipatore di quelle sonorità che faranno la fortuna di formazioni quali Blood Axis e Der Blutharsch.

Si può in un certo senso sostenere che la vicinanza all'artista francese abbia ispirato certe atmosfere claustrofobiche evocate nell'album "Wall of Sacrifice", concepito e realizzato nel medesimo periodo. E proprio quegli estenuanti excursus rumoristici possono essere visti come il principale punto di contatto fra "Ostenbraun" e l'arte della Morte in Giugno, riconoscibile in pochi altri frangenti (gli scarni recitati di Pearce, disseminati qua e là lungo la desolazione sonora che percorre l'album; o le esplicite citazioni tratte dagli album della Morte in Giugno: una su tutte, la filastrocca di "Heilige Tod", direttamente dal seminale "Brown Book").

La presenza di Pearce, padre fondatore dell'intera scena, è comunque terribilmente ingombrante, innegabilmente influente per quanto riguarda le evoluzioni dell'intero lavoro, pervaso da un'ossessività imputabile agli imperscrutabili fantasmi pearciani: il rimbombare dei tamburi da guerra, i solenni canti e le fanfare militari, ma anche gli ipnotici suoni ripetuti ferneticamente in loop e lo struggente romanticismo di alcune soluzioni melodiche sono elementi inequivocabili delle ossessioni più tipicamente pearciane, fibrillanti senza sosta al di sotto della placida superficie appena increspata della veste della Principessa, di tanto in tanto macchiata da suadenti richiami alla migliore tradizione dark-wave ottantiana.

L'esistenzialismo pearciano concorre così a mitigare, dare profondità ed al contempo rendere inquieta una macchina industriale che procede senza fretta alcuna, preferendo sostare ed abbandonarsi piuttosto al respiro ambientale delle tastiere, alle trame liturgiche di un organo di chiesa, al canto riverberato di tenori persi nel vuoto, mentre commoventi e tragiche sinfonie sprofondano lentamente negli abissi come mastodontici e rugginosi transatlantici affondano mestamente nei gorghi impetuosi di mari senza fondo. Come l'angosciante moviola di un incubo indecifrabile.

Quel che ne viene fuori è un lavoro dall'invidiabile compattezza e dal rigore inattaccabile, dal passo sinuoso, dalla sagoma sfocata, ma che si rivela incapace, infine, di regalare all'ascoltatore reali sussulti. Più digeribile di altri lavori di Death in June e de Les Joyaux de la Princesse, "Ostenbraun" rimane nel peggiore dei casi un elegante esercizio di stile, ma al contempo può assumere la caratura di un imponente monumento da ammirare, rapiti, dal basso verso l'alto. Entro il quale, tuttavia, è impossibile penetrare.

Sprofondate, dolcemente, se volete, nelle confortevoli spire della Morte...

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