Errando e curiosando per i meandri oscuri di Debaser, m'imbatto nella pagina dei Death SS e mi dico sgomento: "Sogno, o qui mancano le palle pelose del Silvestri vestito da satanasso, così come solitamente lo ritroviamo nella copertina di "...in Death of Steve Sylvester"?" E così, più animato dalla necessità di colmare questa imperdonabile lacuna che da una reale urgenza comunicativa, mi accingo a recensire l'onorevole opera prima di questa leggendaria formazione italiana.
Non starò a ripercorrere la storia dei Death SS, attivi fin dal lontano 1977 e divenuti nel tempo una vera e propria band di culto: da tutti conosciuti, da certi venerati, da altri perfino temuti (non sono in pochi quelli che se ne stanno alla larga per paura della scalogna più nera che la loro musica dovrebbe, secondo questi genialoidi, emanare!), ma mai giunti al vero successo. Cosa ingiusta, a mio parere, dato che il valore artistico della formazione nostrana rimane indiscusso, testimoniato da una spiccata personalità, da una versatilità fuori dal comune e da una serie di lavori davvero notevoli (e penso a "Black Mass", "Heavy Deamons" e "Panic"). E non è un dettaglio da trascurare il fatto che abbiano anticipato di anni il look da vampirelli e le suggestioni horror-fetish che oggi spopolano grazie al successo di band come Cradle of Filth.
Quanto a coloro che hanno delle perplessità riguardo alle due S che campeggiano nel monicker della band, posso dire che niente hanno a che fare con le SS del Terzo Reich, dettaglio precisato più di una volta dallo stesso Paul Chain (ex chitarrista e co-fondatore della band insieme a Steve Sylvester), che si dice pacifista e dichiara la sua musica svincolata da ogni connotazione politica.
"...in Death of Steve Sylvester" esce nel 1985, dopo inenarrabili travagli e l'abbandono dello stesso Chain, segnando così l'inizio di un nuovo corso. Leader incontrastato della band è adesso Steve Sylvester, e se la sua ugola sgraziata da folle indemoniato rimane il trade-mark caratteristico del progetto, l'"horror music" dei Death SS si va a snellire, liberandosi in parte delle reminiscenze sabbathiane (appannaggio del Catena), per approdare ad un heavy di stampo classico, dalle tinte glam e fortemente tributario degli eccessi scenici e vocali di Alice Cooper. Un sound granitico, che a tratti sembra sfociare nel thrash, ma che non rinuncia alla melodia e all'atmosfera: tastiere, cori, campane ed effettacci assortiti sono infatti chiamati a rincupire la situazione, conducendoci ad ambientazioni orripilanti da film horror di serie B.
Il sound scarno e malsano, infine, se da un lato ha il pregio di conferire al tutto un alone maggiormente criptico ed inquietante, dall'altro va a sminuire il pregevole lavoro di un ensamble che da tutti i fronti dimostra una discreta preparazione tecnica (possenti le ritmiche, pregevoli gli assoli, fantasiose e ricche di cambi di tempi ed atmosfere le composizioni).
Quanto ai testi, beh, non ci resta che stendere un velo pietoso, Pur riempendosi la bocca di paroloni, riferimenti letterari e filosofie esoteriche (la famigerata dottrina crowleyana del "Do what thou wilt", che viene riletta in un'ottica fancazzista che suona piuttosto come "ma fai un po' il cazzo che ti pare!"), il Silvestri non ci convince e testi profondi come quello di "Terror" parlano da soli: "I'm caught in a thunderstorm and I've missed a train, there are no shelters in this place, I'm obliged to take refuge into this old cemetary that seems abandoned". (Cioè, fatemi capire: ma come (s)ragiona il Silvestri? Perde il treno, piove e decide di andarsi a riparare proprio in un cimitero abbandonato? E poi, dove si ripara al cimitero? Di sguincio sotto una lapide? E pensare che i diritti di maternità di questo pezzo se lo sono contesi aspramente in tribunale lui e il Catena in una serie infinita di battaglie processuali...).
L'ascolto è comunque piacevole e scorrevole. Il primo lato si compone di cinque pezzi che costituiscono una sorta di presentazione dei componenti della band: "Vampire" (Steve Sylvester), "Death" (Christian Wise, alla chitarra), "Black Mummy" (Erik Landlen, al basso), "Zombie" (Kurt Templar, alla chitarra) e "Werewolf" (Boris Hunter, alla batteria). Che simpatici, eh? Fra queste, da segnalare senz'altro la coinvolgente opener "Vampire", destinata a divenire un vero classico della band, ed in particolare il suo finale mozzafiato, caratterizzato da un'imponente doppia-cassa, assoli di chitarra ultra-melodici e le urla da posseduto del folle singer.
Il secondo lato, che non segue un concept preciso, annovera un altro grande classico, la già citata "Terror", e una sedicente cover di "I Love the Dead" (letteralmente: "Io fotto i morti"!) di Alice Cooper. Da segnalare anche l'estraniante "The Hanged Ballad", una bellissima ed atmosferica ballata acustica, un trip di quasi dieci minuti che non mancherà di scuotervi nel finale, quando verrete investiti dall'improvvisa esplosione cacofonica di cori, dissonanze, tamburi e il canto declamatorio di Sylvester, un'intensa manciata di secondi in cui viene condensata la tracotante forza espressiva ed iconoclasta della band. A chiudere la storica "Murder Angels", la più violenta del lotto, chiamata a mettere il sigillo ad un'opera ancora tutto sommato acerba, ma non priva di spunti davvero interessanti.
La forza della musica dei Death SS sta, in definitiva, nell'essere sempre e comunque percorsa da una morbosità di fondo che difficilmente troveremo in ambito di heavy metal classico, e meno che mai nei Mercyful Fate, a cui spesso impropriamente i Nostri sono stati accostati (del resto, quel sirenetto di King Diamond, non c'avrà mai le palle di farsi crocifiggere in copertina come accadrà nel successivo, ed ottimo, aggiungo io, "Black Mass"!). L'arte dei Death SS, infatti, si caratterizza per una malvagità tutta italiana, e si può dire che stanno ai Mercyful Fate come il nostrano Mario Bava sta al regista americano Roger Corman. Prendete, per esempio, "La Maschera Del Demonio" di Bava e raffrontatelo con "Il Pozzo E Il Pendolo" di Corman: laddove quest'ultimo risulta ancorato agli stilemi della novella gotica ottocentesca e ne va a ricalcare sostanzialmente i meccanismi di tensione (tutt'al più aggiornando il tutto con elementi psicoanalitici), il Marione nazionale è in grado di scansare i luoghi comuni dei film sui vampiri, allestendo un'amosfera tetra che si va ad impregnare di un'inedita attrazione per il Male e di una perversione e un gusto per l'eccesso che si palesa nell'insano sadismo di certe scene, come quella della tortura con la maschera chiodata che dà il titolo al film.
Allo stesso modo la musica dei Death SS (ma anche lo psycho-doom dei Violet Theatre dello stesso Paul Chain o, facendo un passo indietro, il dark-progressive degli Jacula e degli Antonius Rex di Bartoccetti e dei Goblin di Simonetti, giusto per fare i nomi più noti), pur con tutti i limiti del mondo, va a "rilucere" di quella forza espressiva e di quella necessità di essere eccessivi e blasfemi che sono tipiche di un paese in cui si palesa una diffusa insofferenza verso le autorità ecclesiastiche e le manifestazioni più bigotte ed ipocrite della morale cattolica. Reazione che non poteva non aver luogo in un paese come l'Italia da sempre ammorbato da una eccessiva ingerenza della Chiesa nei gangli della vita culturale, politica e civile.
Insomma, toglietemi tutto, ma non le palle pelose del Silvestri vestito da satanasso!
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