Scrivo per non dimenticare. Perché mi ero scordato di un po' di cose: dei vizi e delle virtù della sempre cara fauna metallica, della bellezza dei volti dei merdallari, della loro pelle vellutata, della loro eleganza sopraffina, dei loro geniali stratagemmi (per esempio il tipo che custodisce la lattina di birra nel giubbotto e di tanto in tanto se ne va al bagno per riempirsi il bicchiere per così sgamare le costose bevute del bar). Mi ero dimenticato anche della brutta, bruttissima abitudine, tipica degli happening metallici, di diffondere musica metal anche durante l'allestimento dei palchi (ma non potrebbero mettere Chopin?). Stasera, per giunta, va di brutto il nu-metal, e scavallato il recinto con la sempre gradita "War for Territory" di sepulturiana memoria ci si addentra in territori su cui tacere è bello. Fatto sta che arrivo al conquibus con le orecchie già logore, tanto che con grande sollievo accolgo, ad oramai mezzanotte passata, i cori e i sinfonismi dell'inevitabile introduzione satanica che apre il set dei Death SS, questa sera ospiti del Music Park Life di Bientina, uno squallido capannone industriale sperso nella campagna pisana, dotato però di un palco più che dignitoso.
Era dal tour di supporto a "Panic" che non presenziavo ad un concerto di Sylvester e soci, e più di una preoccupazione mi pungolava alla vigilia: reggerà, fra le altre cose, l'ugola del Silvestri, invecchiato nel frattempo di ulteriori dieci anni? A rasserenarmi: un lavoro come "Resurrection", l'album con cui i Nostri sono tornati alla ribalta lo scorso anno, un gran bell'album indubbiamente. Quanto alla scenografia, tutto mi sembra più professionale che in passato, come a voler celebrare in pompa magna il ritorno dei Death SS: palco di dimensioni più che generose, tre microfoni a forma di crocifisso in prima fila, alte colonne di fuoco fiammeggianti fra un crocifissone e l'altro, candelabro d'ordinanza a corredo delle tastiere di Freddy Delirio e triplice pannello sullo sfondo a confermare la natura multimediale degli show dei nostri paladini del metallo orrorifico.
Spruzzate energiche di borotalco e un rotear maestoso di luci verdi/rosse/blu su sfondo enigmatico sono l'antipasto, mentre "Ave Satani" (direttamente dalla colonna sonora de “Il Presagio” - pure coverizzata dai Fantomas in “Director's Cut”) riecheggia imponente, via via sovrastata dall'usuale DDETT! ESS-SSESS!! DDETT! ESS-SSESS!! gridato con impazienza dagli astanti, mentre i musicanti mascarati prendono posizione sul palco. Attaccano dunque le proverbiali prime note di "Peace of Mind", ma fra noi manca ancora qualcuno. Dove sarà quel mattacchione di Steve Sylvester? Eccolo che sbuca di corsa fuori dalla bara posta al centro (bara che in effetti non avevo notato fino ad un momento prima), eccolo che impugna il microfono/crocifissone e subito la musica dei Death SS si permea di quell'alone malefico che solo la peculiare voce del suo leader è in grado di conferirle. E dirò di più, il Silvestri è per giunta in forma: presenza scenica indiscutibile e una prestazione che risulterà convincente per tutto l'arco dell'esibizione (salvo un comprensibile calo rintracciabile nel finale). I suoi compari non son da meno, in particolare Al De Noble pare avere l'autorevolezza del buon padre di famiglia, infonde sicurezza e ai miei occhi finisce per impersonificare l'essenza della Vecchia Scuola: già dalle sue primissime mosse (che denotano potenza, precisione e serena self-confidence) si capisce che per lui e la sua chitarra sarà uno scherzetto ripercorrere quanto scritto dai molti mirabili predecessori alle sei corde che negli anni si sono succeduti in seno alla formazione. Nemmeno il tempo dei ringraziamenti ed ecco che irrompe l'inconfondibile riff portante di "Horrible Eyes" che si avventa sul pubblico del Music Park Life con la sua irresistibile cadenza sabbathiana (lo spirito di Paul Chain aleggia su di noi), proprio come succedeva nel mitico "The Cursed Concert".
La scaletta è prevedibile ma semplicemente perfetta, la band pesca qua e là nel suo vasto repertorio in maniera equilibrata, ripercorrendo nel corso di sedici brani una carriera più che trentennale, con un occhio di riguardo al masterpiece "Heavy Demons", e tralasciando solamente (e senza particolari rimpianti) i brani di "Humanomalies" (le cui sovrastrutture elettroniche poco si sarebbero sposate con il sound della Resurrezione) e dello scialbo "The Seventh Seal", fiacco ultimo rigurgito prima della temporanea sospensione delle attività. Si susseguono così pezzi vecchi e nuovi, dal poderoso rituale voodoo di "Baron Samedi" (granitica la prestazione dietro alle pelli del neo-assunto Bozo Wolff) al fascinoso andamento gothic-dark della bellissima "Scarlet Woman" (sugli scudi il redivivo Freddy Delirio), dai classicissimi "Terror" e "Cursed Mama" alla devastante "Baphomet", che dal vivo è sempre una delle mie predilette. Solo tre sono gli estratti dall'ultimo album, fra cui primeggia senz'altro la bombastica "The Darkest Night", accompagnata dal relativo videoclip, prontamente sparato sullo sfondo. Per tutto il corso del concerto, infatti, verranno proiettate sul grande schermo centrale, fra fumigazzi, giochi di luci e talvolta persino fuochi d'artificio, sequenze di vetuste pellicole dell'orrore, videoclip della band e vecchie esibizioni live, spesso in sintonia (tematica o semplicemente estetica) con quanto combinato sul palco.
Giunge finalmente il momento che più di altri attendevo, quello di "Let the Sabbath Begin" (SABA! SABA!), brano a cui rimango molto affezionato e che rimarrà a mio parere il momento topico della serata. Aiutato dal quarto gin tonic mi son quindi ritrovato ad urlare a squarciagola l'irresistibile ritornello (SABA! SABA!), che nella porzione conclusiva, fra i cori del pubblico (SABA! SABA!), le braccia alzate della gente e le grida stridule di Sylvester grande mattatore (let the sabbath begiiiiiiiiiin), diviene qualcosa di travolgente. Tutti i brani pescati da "Panic" (ben tre - "Let the Sabbath Begin", "Hi-Tech Jesus" e la title-track) guadagnano posizioni importanti nella scaletta, venendo riproposti nella porzione finale del concerto, assurgendo oggi al rango di veri classici.
Ma a proposito di classici, è con l'immancabile "Vampire" che si completa la prima parte del set: a "Panic" e l'anthemica "Heavy Demons" l'onore di chiudere una gran bella esibizione, dove i cinque si sono mostrati dei veri professionisti e l'esecuzione nel complesso soddisfacente e priva di grandi sbavature (sebbene l'acustica offerta dal locale non sia stata ottimale e soprattutto nel finale la band abbia perso qualche punto a livello di precisione). Ci ha pensato il buon Freddy Delirio, in particolare, a dar man forte a Steve Sylvester, dividendosi fra tastiere e microfono, supportando il vocalist soprattutto a livello di pre-chorus e chorus nei brani conclusivi. Inutile dirlo, metà dello show lo fanno il carisma dello stesso leader e le trovate sceniche da lui architettate: il Sylvester che agita la croce infuocata sul pubblico, il Sylvester che beve il sangue di Cristo e ne getta sulle prime file una bicchierata, il Sylvester che lotta contro la suora (soccombendo) sono tutte immagini bellissime, pregne di una sublime e clownesca iconoclastia, che ci ricordano quanto è bello essere satanici e merdallari.
Ciliegina sulla torta: una performer meglio del solito (tale Martyna Smith) comparsa più volte sul palco a mostrarci le proprie grazie (seppur ignorata, o velatamente schifata, dal Silvestri stesso, un po' freddo ed irrigidito quando la giaguara gli girava intorno). Tra sculettamenti degni di un bavoso peep-show e trovate che più kitsch non si può (la donzella, per esempio, vestita da sexy diavolessa con tanto di corna, perizoma e forcone di gomma), c'è spazio anche per un momento di vera e sana e sacrosanta blasfemia (oooo, finalmente!), ossia quando costei, come mamma l'ha fatta, si strofina il crocifisso sulla patonza. Anche se, sinceramente parlando, l'unico gesto che mi ha forse davvero shockato è quando Glenn Strange nel finale ha gettato il basso fra il pubblico (ma non si usava una volta lanciare il plettro???). Vero è che la pronta presa dello strumento da parte di un fan in prima fila (tenendo conto che i merdallari non si distinguono sicuramente per la prontezza di riflessi) fa maliziosamente pensare che quel prode fan sia per lo meno il cugino del bassista e i due si siano precedentemente messi d'accordo.
Insomma: non dimorerà da queste parti il buon gusto, potrete certo dire che, per via della pulzella sgambettante e per la quantità spropositata di femmine sgozzate o violentate nelle immagini proiettate, si sia sfiorata la misoginia o sicuramente cavalcato il sessismo più becero, che tutto infine avrà assunto i contorni della vera baracconata, ma di certo non si potrà negare la professionalità con cui lo spettacolo è stato allestito. Perché al di là di tutto, al di là delle tette roteanti e delle croci rovesciate e del succo di lampone gettato sul pubblico, è l'anima rock, essenzialmente glam, imbellettata, ma genuina e squisitamente retrò dei Death SS, a prevalere: quel satanismo di carducciana memoria che suona più come un inno alla libertà ed alla trasgressione, che ad un rito esoterico in senso stretto. Ma nonostante la storicità e l'indubbio valore, probabilmente i Death SS continueranno ad essere snobbati dai più, magari anche per quell'idiozia tutta italiana secondo la quale dovrebbero portare sfiga (ma andatevene affanculo bigotti ben pensanti con il chiodo di sto cazzo!).
Quanto a me, sono tornato a casa sano e salvo. E il giorno dopo, pisciando, e cullandomi nelle immagini ancora nitide della sera prima, mi ritrovavo a canticchiare in allegria SABA! SABA! Let the SABA...
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