We are living in a simulated world, ( and we are simulated girls )

We are immaterial girls.

...Immaterial.

Metropoli in fumo.

Tramonti segnati dalle lacrime degli angeli.

La simulazione continuava imperterrita, the Show Must Go On, il tempo era del resto inesorabile, una scala mobile all' ipermarket che nell’ingordigia trangugiava un po' di tutto, dalle tredicenni in hot paints alle truppe acciabbattate, calcagni e dita aperte come mazzi di asparagi, dal culturista untore in canotta alla coppia giapponese in gore fotografico. Sempre e con costanza, l’automatismo spegne ogni microsecondo di riflessione, quella scala mobile non è difatti mossa dalle onde cerebrali ma da un semplice pistone, è lui l’attore mono espressivo che muove la trasmissione tutta.

E’ lui il burattinaio.

Poi ci sono queste 4 ragazze di Los Angeles o forse 5, forse c’è anche un tipo, forse vanno contate meglio.

Che a questo gioco senza arte né parte, insomma non ci vogliono giocare.

E tutto parte dai brividi e dai tremori, da quelle note isolate di un Fender Rhodes nella iniziale California Mountain Shake, che salvifica pizzica la carne un attimo prima che diventi insaccata. Un tocco dei Mazzy Star più elettrici e ritmici del solito, e tante contaminazioni, spillover continui nell’improvvisazione garage & rock’n roll. Pollini di queste giovanotte che sono splendide nel proporsi come Cheerladers di un tal Julian Cope e del suo sperimentalismo più colorato di quel space rock e cantautorato psichedelico, tracce sbiadite disperse nella memoria di album di intimistica visione come Interpreter… Non è per niente semplice fare la ragazza Pon Pon per un tipo che si fa ritrarre chino e con sopra la schiena un guscio di giant turtle mentre discute con un camion giocattolo di massimi sistemi tolemaici copernicani…

Come se tutto ciò potesse cercare di dare un Senso al disordine del Cosmo…

Make my rainy day - Cause we're living in a material world
And I am a material girl

Quel soffio breve e leggero dell’esistenza umana è messo a nudo come poche volte dalla danzante mimica delle Death Valley Girls, quel sollevare l’asticella ancora una volta in quella missione egocentrica; portare l’ascoltatore al centro della sua atmosfera impetuosa, in quel precario equilibrio e quel fragore immersi nelle onde più alte della baia di San Diego, perché noi tutti abbiamo dei poteri...Magic Powers .

Concepito durante una strana malattia della vocalist Bonnie Bloomgarden, sotto quell’aura magica della copertina e quel tempio polare sulla luna, Islands in The Sky è una festa babilonese che impazza in un vorticoso delirio spazio temporale sospeso tra la metà degli anni 60 e 90, un party sfrenato dove nella stessa canzone lo stile R&B Motown delle Supremes può trovare dissolvenze nel gelido delay degli Opal ed inaspettate riapparizioni nel dancefloor di Casa Ciccone con quel tacco che batte a ritmo di Borderline.

Ah Iggy Pop le ha descritte come un dono per il mondo...

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