Non è il caso di farne un mistero: i francesi Deathspell Omega sono diventati una delle realtà black più importanti degli ultimi anni. Tanto che, ormai, lo stesso termine "black metal" ha iniziato a star loro stretto già dall'uscita di quel colosso chiamato "Si Monumentum Requires, Circumspice" (2004): si parla di avantgarde, si parla di post-black e/o religious black, si parla anche troppo e ci si riempie la bocca di etichette insignificanti. Non credo piuttosto che a Mikko Aspa e soci freghi una mazza di come venga catalogato il loro operato, che invece andrebbe preso come un unico e isolato corpus di lavori legati indissolubilmente sotto l'aspetto concettuale (le tematiche di natura religiosa, filosofica et similia) e, ça va sans dire, musicale (la particolare evoluzione sonora tuttora in corso); in poche parole si tratta di una voce fuori dal coro, una parentesi preziosa e irripetibile all'interno di un genere che ora più che mai ha bisogno di svecchiarsi e di liberarsi da sterili paradigmi e dalla propria intransigenza.

Il fatto che ogni uscita dei DsO post-(ma anche pre-!)”Monumentum” debba essere considerata come parte di un unico disegno è peraltro dimostrato da una certa impossibilità di descrivere compiutamente una qualsiasi opera esulando dal percorso musicale complessivo, un po' come cercare di desumere l'intera immagine di un puzzle a partire da un singolo tassello, il che non sarebbe neanche un grosso problema se l'intento fosse solo quello di descrivere in modo contingente e puramente "accessorio" ciò che si sta ascoltando. Ma chi conosce bene i Deathspell sa altrettanto bene che "il tutto è più della somma delle sue parti" e, perciò, che ogni nuovo album non fa che rendere sempre più nitido e logico il disegno che quest'entità misteriosa ha in serbo per i suoi seguaci.

Così, anche solo uno split o un EP non può essere meno cruciale di un vero e proprio album; d’altra parte episodi come “Kénôse, “From The Entrails To The Dirt” e “Crushing The Holy Trinity (Father)” contengono materiale talmente denso e pregnante che ritenerli secondari sarebbe inopportuno a dir poco: è infatti con questi piccoli grandi capitoli che i DsO si concedono una maggiore libertà espressiva offrendo le sfumature più interessanti della loro carriera, e il più recente EP qui recensito “Veritas Diaboli Manet In Aeternum: Chaining The Katechon” (2008), facente parte di uno split con i connazionali e sconosciuti S.V.E.S.T., non fa certo eccezione.

Dopo quel capolavoro devastante a nome di “Fas – Ite, Maledicti, In Ignem Aeternum” (2007), secondo capitolo della trilogia, tutto sembrava possibile: contorto, dissonante, ostico, enigmatico, caotico e inafferrabile, folle e imprevedibile (gli aggettivi si sprecano), era un album che demoliva ogni certezza e lasciava rimbombare mille domande al termine di ogni ascolto; all’imminente “Paracletus”, in uscita quest’anno, spetterà continuare e concludere il concept della trilogia. In ogni caso, “Veritas Diaboli..” si pone come capitolo d’intermezzo e ci consegna un unico brano di oltre 20 minuti, durata che i DsO hanno saputo gestire egregiamente in più occasioni.

“Chaining The Katechon” mescola un po’ le carte in tavola e, anzichè addossarsi l’arduo compito di proseguire il discorso di “Fas”, butta nel calderone tutto ciò che i Deathspell hanno fatto finora. Una cosa è certa però: “Chaining The Katechon”, nonostante la sua considerevole mole, è pur sempre un brano dotato di una certa organicità di fondo, con tanto di strofe e “temi” ripresi più volte; ciò basta per distanziarlo non poco dal nonsense frastornante di “Fas” e fargli compiere sotto questo aspetto due passetti indietro. Ma allo stesso tempo compie pur sempre un abbondante passo avanti sintetizzando in un’unica summa l’universo Omega.

Ecco che quindi troviamo tracce della frenesia allucinata di “Fas”, del quale rielabora, sfoltendolo parecchio, il garbuglio inestricabile di riff; c’è un po’ di “Kénôse, per via dell’incedere vorticoso e ultratecnico, oltre che per la scelta dei suoni in sè; e ovviamente non può mancare l’aura sacrale e serpentina del “Monumentum”, cosa che in “Fas” sembrava essere definitivamente accantonata a favore di pura, semplice schizofrenia. Insomma un macello assurdo in cui, in soli 22 minuti di estasi atroce e spasmodica salmodia, i Deathspell Omega mutano forma un’altra volta mantenendo intatti spirito e sostanza.

22 minuti sembrano molti per un singolo brano, ma “Chaining The Katechon”, muovendosi come un sismografo impazzito, non ci concede in nessun modo momenti vuoti o appiattimenti: tra impennate repentine e strascichi dissonanti, passando per ribollenti crescendo e schizzi di veleno da parte di Aspa, la band realizza il brano più impegnativo e congegnato della propria carriera; un magnifico quadretto apocalittico incorniciato da liriche talmente deliranti e visionarie che, inutile dirlo, faranno la gioia di chi è solito spararsi i sermoni dei Deathspell durante l’ascolto per mortificarsi ulteriormente il senno.
Noia e scontatezza non sono di casa in questo EP che pur rimanendo un disco dalla portata limitata cerca di rassettare al meglio il sound degli Omega dopo la destrutturazione totale operata con “Fas”: “Chaining The Katechon” non osa ma si limita a preparare il gruppo ad evolversi (spero) di nuovo.

Ora non resta che dare la parola a “Paracletus”.

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