Chi ama visceralmente la musica elettronica e ambient dai contorni oscuri, non può esimersi dall'avvicinarsi a Deca con grande interesse e dal procurarsi almeno i suoi ultimi album. Questo musicista italiano, ormai a pieno titolo compositore storico della scena d'avanguardia mondiale, è diventato un autentico outsider che ha saputo salire agli onori delle cronache musicali senza mai piegarsi alle logiche di mercato e senza mai fare compromessi; neppure con se stesso, oserei dire, visto che ogni nuovo lavoro propone sempre qualche nuovo spunto.
Deca non vive di rendita, insomma. E anche se questo ultimo "Aracnis Radiarum" sembra ripercorrere le tracce già lasciate da titoli precedenti (soprattutto "Phantom") resta alta la qualità della ricerca sonora e resta immacolata la certezza che non si tratti di musica fatta per compiacere qualcuno.
"Aracnis Radiarum" parte col botto e colleziona ancor prima della pubblicazione ufficiale (avvenuta il 2 gennaio 2007) due o tre ottime recensioni su carta stampata. Quindi, ho giusto il tempo di procurarmente una copia, che già su vari siti web leggo altre critiche eccellenti.
Copertina in perfetto stile fantascientifico - con chele cromate, ragni giganteschi, tramonti con due lune - che rispecchia l'approccio letterario dell'opera: il disco è infatti ispirato ad un romanzo di fantascienza che Deca stesso aveva pubblicato parecchi anni orsono. E dalla copertina alla musica il passo è brevissimo: cominci con il tripudio di sequencer e ritmi metallici di "Pandinus Imperator" (dal nome di uno scorpione) e poi i rumori agghiaccianti di una battaglia ti introducono nei corridoi spazio-temporali di "Entroid"… il viaggio comincia ed è effettivamente una specie di trip da cui è difficile sottrarsi.
Danze tecnologiche che ammiccano al synthpop più ricercato si alternano a sperimentazioni inquietanti che evocano quadri di Giger e film di Lynch, passando attraverso la malinconia metafisica di pezzi come "Time Transmitter" o "Autoclone Euscorpius". In qualche passaggio la vena compositiva di Deca sembra diluirsi, dilungarsi, indugiando più sullo sviluppo dei suoni che sulla sviluppo del pezzo. Ma nel complesso i 55 minuti dell'album scorrono maestosi e intriganti, lasciando nella memoria una suggestione che sta a metà tra realtà e sogno.
Lontano dai primi vinili degli anni '80, veramente troppo legati alla scuola di Jarre e Vangelis, Deca oggi ha alle spalle una carriera discografica più che ventennale in cui ha costruito un suo personale stile elettronico e se vogliamo una sua "poetica" della tastiera, che parte dai suoi trascorsi di pianista classico e minimalista per arrivare alla musica industriale e digitale. Forse non un pioniere nel vero senso del termine, ma sicuramente un artista che ha influenzato le frange più colte della scena elettronica europea e ha lasciato il segno con album come "Claustrophobia" e il capolavoro "Simbionte".
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