Considerando quello che accadde ai loro colleghi storici, ho sempre ritenuto una peculiarità dei Purple quella di non essere mai stilisticamente troppo dipesi da un chitarrista. E mi sbagliavo. Diretta conseguenza del clamoroso split con Richie Blackmore, fu l’abbandono definitivo dei barocchismi che avevano contraddistinto la discografia immediatamente precedente quest’album. Attenzione però: “Come Taste The Band” non è solamente “un disco dei Purple senza Blackmore”. Risentendo invece pesantemente delle inclinazioni dei diversi musicisti che lo realizzarono, ci presenta una band ancora all’apice delle sue capacità (mai fu più azzeccata la scelta del titolo). Quindi, salvo si appartenga alla categoria di audience che si affeziona morbosamente ai suoi idoli, si scopre essere questo un lavoro ricchissimo di spunti interessanti.
Prime su tutto il resto, le radici stilistiche e la verve del prodigioso Glenn Hughes. Il bassista, nell’occasione co-cantante con Coverdale, contagia del suo caratteristico songwriting alcuni splendidi brani del disco. “Getting Tighter”, uno strepitoso assaggio funky-rock, regala un Hughes dalle travolgenti attitudini canore. Spicca in questo brano il sound della Strato di Tommy Bolin, sanguigno e capace certo non meno del suo illustrissimo predecessore. Ancora “made in Hughes” è “This Time Around”: sulle note del piano di Jon Lord, fa stavolta capolino l’intensità soul del singer inglese. Di tutt’altra fattura brani come “Coming Home” o “Lady Luck”, decisamente più alla Whitesnake (band che nascerà per idea di Coverdale, subito dopo il definitivo split che seguirà l’uscita di quest’ album). Sia “Drifter”, che la splendida “You Keep On Movin”, sembrano invece meno vittime della personalità di un solo componente, suggerendo una maggiore volontà di coesione stilistica fra le varie influenze della band. Concludo questa rapida carrellata con le divagazioni dell’hammon di “Love Child”.
Dopo averle saggiate, risulta difficile sotenere che questo “Come Taste…” rappresenta un episodio di serie B, nella lunga e non qualitativamente omogenea discografia del gruppo inglese. Un album da riscoprire, dal sapore hard rock, con venature soul e retrogusto funky. Per una volta, meglio non fidarsi della critica ed andarlo a comprare. Il compianto Bolin jammando coi suoi colleghi sentenziò: “Come see the band! Come taste the band…”. Non resta che dargli retta.
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