La discografia dei Deep Purple è corposa all'eccesso. Fra album in studio, live, raccolte, materiale ufficiale e non, sembra di trovarsi nel Labirinto di Cnosso. E come se non bastasse, a ciò si aggiungono riedizioni e rimasterizzazioni di vecchi album, con qualche inedito o arrangiamenti alternativi. "LIVE IN LONDON" è uno di questi casi. Uscito nel 1982 come singolo vinile, lo scorso anno l'album è stato ristampato su doppio cd (oltre novanta minuti complessivi). Nell'edizione originale, per ovvii motivi di spazio, non fu inclusa Space Truckin', ma anche gli altri pezzi risultavano essere un po' tagliati. Ora, grazie al supporto digitale, si ha la possibiltà di gustare lo show nella sua versione integrale.
Le registrazioni risalgono al lontano 1974, durante il tour che seguì all'album "BURN". Nella band vi era appena stato un cambio di line-up che aveva visto l'allontanamento del singer Ian Gillan e del bassista Roger Glover per volere del chitarrista Ritchie Blackmore, con buona pace del tastierista John Lord e del batterista Ian Paice. I due furono sostutuiti da Dave Coverdale alla voce e Glenn Hughes al basso e seconda voce. Coverdale era dotato di un timbro basso e caldo, un vocione avvolgente ben adatto al blues, mentre Hughes con i suoi "screming" non faceva rimpiangere il predecessore. Sulla carta la nuova formazione aveva ben poco da invidiare alla precedente e gli inizi lo dimostrarono. Prima l'ottimo "BURN" e poi una serie di concerti in linea con lo stesso, infuocati!
La scaletta portata in scena è un buon compromesso fra ciò che il gruppo voleva suonare, i nuovi pezzi, e la consapevolezza di non poter rinunciare a qualche classico del precedente repertorio. Lo show si apre con il riff graffiante di "Burn", pezzo fra i migliori composti dai Purple, in cui i due nuovi arrivati chiariscono subito di non essere solo dei "sostituti"; Blackmore e Lord si susseguono con virtuosismi strumentali di chiara matrice neoclassica, sulla falsa riga di "Highway Star", mentre Paice pesta le pelli come un dannato. Mai brano ebbe un titolo più emblematico. Seguono due pezzi godibili e trascinanti, "Might just take your life" e "Lay down Stay Down", di evidente ispirazione funky blues, ma suonati con quel piglio tipico dell'hard rock. Si arriva così al capolavoro "Mistreated", blues rock sofferto ed intenso, dall'incedere solenne ed epico; straordinariamente adatto alla voce di Dave. Che la song sia qualcosa di speciale lo si capisce subito, da quell'intro di fender così hendrixiano, composto dal chitarrista tempo prima, ed in attesa di trovar la voce giusta per prendere il volo. Un pubblico oramai in estasi segue un Ritchie divertito in fraseggi leggeri che ad un certo punto sfociano in un accenno di Lazy; quindi è la volta del riff dei riff, "Smoke on the Water", ed è delirio! Il pezzo è cantato a due voci e la prima strofa, a sorpresa, viena ricantata in luogo della terza. Divagazione vocale soul da parte di Hughes nel finale (Giorgia on my Mind). Ad un primo ascolto il pezzo può suonar strano, abituati come si era alla superba interpretazione di Gillan, ma si tratta solo di una sensazione momentanea, destinata a svanire; e comunque, è uno di quegli inni magici che farebbe fare la sua porca figura anche ad una cover band alle prime armi, figuriamoci a musicisti di quel calibro.
Il secondo cd si apre con "You Fool no One", in origine un tipico funk-rock, qui trasformato in lunga suite, vetrina essenziale dell'estro dei cinque. Non può ovviamente mancare il consueto "drum solo" di Paice. L'ultima track è quella "Space Truckin'" esclusa dall'LP del 1982. In verità la voce di Coverdale non sembra prestarsi alla tonalità originale del pezzo, risultano pertanto quanto mai utili i frequenti interventi di Hughes nei versi più acuti. Ma in realtà quel che impressiona è la lunga improvvisazione strumentale che deriva dalla vecchia "Mandrake Root", in cui chitarrista ed organista si alternano nelle fasi soliste, dilatando il pezzo a circa mezz'ora. Nella lunga maratona musicale trova spazio di tutto, Hard rock, Blues, qualche spruzzata di progressive ed incursioni vagamente psichedeliche, un po' tutti gli elementi caratteristici del rock di quegli anni. A sorpresa vi è anche un gradito richiamo a "Child in Time", oltre che al tema musicale del film 2001-Odissea nello Spazio.
Nel complesso la prova è da brivido, la band è in splendida forma e si sente; traspare inoltre la voglia di dimostrare che, nonostante i cambiamenti, i Deep Purple sono ancora in pista, pronti a stupire (peccato che di lì a poco gli equilbri in seno alla band verranno nuovamente meno). Il sound è bello "tosto", direi più duro del solito, e la Stratocaster di Blackmore viene fuori che è una meraviglia. Ottimo anche il lavoro di montaggio e la resa audio, considerato che si tratta di registrazioni del lontano '74.
Chiudendo, nella nuova veste rimasterizzata, penso si possa ritenere il miglior live ufficiale della band dopo "Made in Japan", consigliatissimo quindi ai fans del gruppo, e direi a tutti coloro che amano il rock, quello vero, quello suonato con passione, energia e gran classe; ma più in generale a chiunque stia a cuore la buona musica.
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