Essere maestri di un genere come il rock, significa custodirne la scintilla segreta, quella scintilla capace di far diventare grande la musica di alcuni, mero clichè quella di altri.
I DP di “Made in Europe” sono ormai nel gotha del rock, insomma ricchi e famosi, ma con la line-up mutata: Gillan "ugola d'acciaio"e Glover hanno lasciato il posto a due ragazzi quasi sconosciuti, David Coverdale e Glenn Hughes, ma, in compenso, per nulla "cloni" dei partenti.
Questo concerto, in realtà frutto di un sapiente collage del produttore Martin Birch, mette subito in chiaro che i nuovi arrivati non sono affatto due comparse, ma innovano e arricchiscono il sound live del gruppo soprattutto nella parte vocale: la voce "principale" è il bluesy Coverdale supportata, però, dal dotato Hughes, che non si limita certo alle backing vocals! Ed ecco l'apertura con "Burn", fast blues con ovvia fuga neoclassica sul canovaccio di "Highway star", che entra di diritto tra i migliori dei Purple, sei minuti di potenza, velocità e gusto in cui Blackmore e Lord sono veramente strepitosi con i loro assoli. Inchiniamoci tutti, però poi, dinanzi a "Mistreated", dal riff solenne e pieno di calore, come solo Blackmore sa fare, su cui il vocione blues di Coverdale regna sovrano, soprattutto nell'inserto "Rock my baby", mettendo subito in chiaro che i Purple-fans forse non dovranno rimpiangere i virtuosismi di maniera di Gillan, perchè il sound ha acquisito una profondità e ricchezza (modernità?) nuova.
Terza traccia è "Lay down, stay down", pezzo veloce dalla chitarra coinvolgente e diretta: blues molto veloce con un uso interessante dell'effetto eco. Ma è solo la preparazione al pezzo migliore di questo live, cioè la nervosa e velocissima "You fool no one" dove tutto il gruppo viaggia al limite senza alcuna sbavatura, con le due voci all'unisono sulla monumentale batteria di Paice, non semplice accompagnatore ma creatore di veri "riff di batteria" (ricordate "The mule"?) che in questo pezzo sfodera una potenza, una tecnica spaventose: ascoltare per credere. La classica "Stormbringer", cadenzato cantato in prevalenza da Coverdale, ma con pregevoli inserti di Hughes, è una delle tracce più dure ed epiche, con un assolo di Ritchie che prelude alle sonorità che, di lì a poco, avrebbe sviluppato con i Raimbow.
Anche a decenni di distanza, l'autenticità dell'icona rock Deep Purple trasuda dai solchi di questo disco, avvolto da quell'energia misteriosa, irragiungibile per molti mestieranti della scena rock odierna, che ci lascia la sensazione più importante per un concerto rock: che sul palco "qualcosa è accaduto".
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