A Milano, in zona centrale, i casi sono due: o c'hai è l'Ecopass, e sei costretto a sborsare per averlo a meno che tu non possieda Suv verde d'ultima generazione; oppure c'hai il Backstage Pass, o meglio un Guest Pass, un simpatico dischetto adesivo nero del diametro di circa 10 centimetri che reca la scritta Deep Purple in eleganti caratteri stile Made In Europe, e la data del concerto, che ti permette, insieme al biglietto omaggio per i paraculi come me e shooting star, di sederti in poltronissima GRATIS al Teatro Smeraldo (cosa che in tempi di crisi petrolifera, economica ecc. non è affatto male, alla faccia dell'Ecopass!!!), e soprattutto di passare una delle serate più belle della tua vita, ossia goderti un concerto sapendo che dopo vai conoscere i Dipparpol, come vengono erroneamente pronunciati in Italy!
Ma andiamo con ordine.
Senza stare qui a raccontare quale serie di fortunate circostanze ci abbia spinti ad ottenere l'invidiato oggetto del desiderio sopra descritto o di come siamo riusciti ad avvicinarci ad Ian Paice che ci ha permesso di averlo; senza raccontarvi il pre-concerto, che panino abbiamo mangiato, quanti bagarini vendevano e compravano, quali magliette fossero in vendita negli stand abusivi; senza fracassarvi i maroni con le immagini e le sensazione tipiche che si respirano ai concerti, prima, durante dopo, passiamo subito al clou della serata.
I Deep Purple dunque! Pur essendo tutti più o meno sulla sessantina, tranne Steve Morse, i nostri riescono a rockeggiare come non mai. Non perdono la tempra, si divertono, ridono, scherzano sul palco, a dispetto di quegli stronzi degli steward dello Smeraldo che non vogliono che si facciano foto, fino a quando Ian Gillan non ne rimprovera una intenta ad abbagliare una ragazzina con la sua odiosa lampadina al led acceccante: Gillan dice di lasciar stare, alzando poi le spalle verso il pubblico, come per dire: "Giusto o no?", ottenendo l'approvazione generale attraverso un boato.
Il concerto è stato ottimo. La scaletta mi ha davvero entusiasmato perché è un ottimo mix di vecchio e nuovo: Pictures of Home, Into The Fire, Strange Kind Of Woman, Demon's Eye, a difendere il buon nome della vecchia scuola.
Dall'ultimo Rapture Of the Deep, oltre all'orientaleggiante title-track, mi è parsa strabiliante la scelta di inserire Things I Never Said, l'ottima inedita dalla concert edition dell'album in questione, mentre Kiss Tomorrow Goodbye è un buon pezzo ma forse avrei preferito sentire qualcosa di più estroso, come ad esmpio Back To Back.
Dall'album Bananas sopravvive solo Contact Lost che sfocia nel solito grande assolo di Steve Morse, con un tripudio classicheggiante nel finale. A sorpresa rispunta anche The Battle Rages On, e la solita magia di luci in Perfect Strangers dopo la parte dedicata alla tastiera solistica di Don Airey, fra mille citazioni di temi più o meno classici. Finale al fulmicotone e all'insegna dei classici di sempre: Highway Star, trascinante nei ritmi come sempre, Smoke On The Water, che non può mancare, con la solita oleografia: dieci minuti buoni in cui il pubblico che canta estasiato e coinvolto dall'istrionico Gillan. E poi l'encore: Hush, con assolo di batteria di Ian Paice, e Black Night, il cui intro presenta la novità dell'assolo di basso di Roger Glover. Alla sezione ritmica voglio dedicare due parole: forse la parte più in forma della macchina Deep Purple, dato che Ian Paice è stato un treno inarrestabile dall'inizio alla fine, così come anche Roger Glover, che ha dato il meglio di sé con le 4 corde. I problemi più grandi li ha forse avuti Steve Morse, che ci ha messo qua e là qualche sbavatura e ad un certo punto ha avuto anche qualche problemino tecnico, dato che non riusciva più a sentire la propria chitarra. Nonostante ciò è sempre allegro e sorridente sul palco, con il suo look all'indiana (d'America). Don Airey senza infamia e senza lode, già abbastanza brillo, mentre per Ian Gillan, beh... è assodato che non abbia più vent'anni, chiaramente, e di conseguenza è più forte sui pezzi nuovi, mentre sui classici contorce un po' troppo la faccia quando cerca di cavare fuori qualche rimasuglio della voce che fu. Ma per il resto rimane un ottimo uomo di spettacolo. Sentirlo esclamare: "Unbelievable, amazing, superb you are fantastic!" è una gioia per il cuore.
E via. Tutti su, alla "hospitality area" del Teatro Smeraldo, un caldo boia, il rinfresco passa giù senza che neanche abbiamo il tempo di accorgercene. "Tutti su" non vale precisamente per tutti precisamente: solo noi paraculi con il Guest Pass o con il Backstage Pass (spiacente cari amici dell'Ecopass, sarà per un'altra volta...haha!) siamo ammessi. Una severa e giunonica matrona inglese passa a controllare che non vi siano truffaldini sgattaiolati in piccionaia senza essere in regola: uno si mette quasi a piangere in ginocchio, ma lei è intransigente e lo caccia via. Io sotto sotto me la rido, perché per una volta non sono Mr. Nessuno, e sulla mia panza gonfia di birra ci sta quell'adesivino di cui parlavo prima.... e spunta improvvisamente Roger Glover! Un personaggio d'oro, rilassato, alla mano...faccio anche una gaffe dicendogli: "Would you mind signing my bananas please?" (Ti spiacerebbe autografarmi le banane per favore?). Ci rimane un attimo di stucco, ma poi vede la mia copia dell'album Bananas e con un ghigno risponde che in altri contesti sarebbe una domanda ambigua. Soddisfazione personale tutta mia è fargli autografare il disco In Rock orginale del mio "papi". Poi giunge il momento di Don Airey, mattacchione e fuori come un balcone, non smette di fare il burlone. È sicuramente ubriaco fradicio, ma ci sta dentro. Canta canzoni da ciucco d'altrone durante la data di Zurigo è caduto un paio di volte dal palchetto rialzato delle sue tastiere! E che dire di Steve Morse? Entusiasmo da vendere, un gran bravo "ragazzo", anch'egli alla mano e cordiale. Saluta tutti euforico con un "Hey guys', how are you doin'?" e non fa tempo a finire la frase che viene assalito. Si stupisce del cd dei Dixie Dregs portogli per l'autografo da shooting star, e ne rimane piacevolmente estasiato.
Peccato che Gillan e Paice non si sognino di farsi vedere, l'addetto alle pulizie ha dovuto cordialmente mandarmi fuori dalle balle (cito testualmente, lo giuro!). Sarà perché si chiamano Ian tutti e due? Avevano paura che ce li confondessimo l'uno con l'altro? Mah! Ci hanno tirato il bidone, ma per due paraculi come noi, una serata come questa, specie con un finale del genere, andava già da Dio!
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